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Aree Interne: una panoramica sulle strategie attuative per i Comuni

lentepubblica.it • 12 Agosto 2016

sanatoria, anciPoiché ci si avvicina, a gran passi, al momento della sottoscrizione dei primi accordi attuativi della strategia nazionale aree interne, giova ricordare cosa sia richiesto, in termini di impegni e responsabilità, ai Comuni interessati.

 

Questi comuni, precisa l’Accordo di partenariato (AdP) (Il testo dell’Accordo è consultabile integralmente in http://www.agenziacoesione.gov.it/it/AccordoPartenariato/), «dovranno provare di essere in grado di guardare oltre i propri confini, attraverso la gestione associata di servizi». La verifica del suddetto requisito, precisa l’AdP, è discriminante ai fini dell’ammissibilità delle aree territoriali alla strategia medesima nonché condizione essenziale per l’attivazione degli investimenti previsti da Snai oltre che garanzia di efficacia dei relativi interventi.

 

Poiché la gestione associata di funzioni e servizi presuppone l’esistenza di una capacità aggregativa, istituzionale e amministrativa, dovrebbe essere possibile misurare –almeno a livello qualitativo- l’esistenza di ulteriori tre fattori sottostanti alla strategia di intervento. In particolare si tratta di valutare:

 
a) la capacità di leadership strategica e innovativa espressa dalla classe dirigente locale interessata;

 

b) l’intensità della forza generata da questa leadership per contrastare le resistenze al cambiamento che non di rado si “nascondono” nei sistemi territoriali (l’assunto è argomentato da Fabrizio Barca in Lezione Gorrieri 2015, pubblicata sul sito: http://www.fondazionegorrieri.it/images/pdf/Lettura2015_FabrizioBarca.pdf);

 

c) la propensione a esprimere tale forza di cambiamento e innovazione, attraverso una partecipazione attiva della popolazione ai processi decisionali.

 

Questo perché la gestione in associazione di funzioni pubbliche (in forma permanente) implica che qualcuno promuova e diriga il processo aggregativo; che tale soggettività (collettiva) si presuma capace di vincere resistenze conservative negli assetti dei poteri locali; che la forza del cambiamento che essa genera possa essere direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento della collettività interessata nelle scelte strategiche e allocative.

 

Ai fini della verifica di esistenza del requisito istituzione della gestione associata è pertanto utile distinguere fra:

 

a) aggregazioni temporanee costruite «su e per progetti\programmi di sviluppo», tipiche di gran parte degli interventi di sviluppo locale promossi nel nostro Paese; almeno a partire dalla stagione della “programmazione negoziata” (patti territoriali, contratti d’area) e comprensive delle formule variamente “utilizzate” negli anni dalla politica di coesione comunitaria o dalla politica di sviluppo rurale (PIT-piani integrati territoriali, PISU-piani integrati di sviluppo urbano, PIST-piani integrati di sviluppo territoriale, GAL-gruppi di azione locale, ecc.);

 

b) aggregazioni permanenti costruite su un disegno di gestione ordinaria di funzioni fondamentali e servizi locali.

 

Solo in questo secondo caso è possibile parlare di esistenza del requisito necessario per promuovere e attuare progetti\programmi di intervento a finalità di sviluppo territoriale, così come definiti nella strategia nazionale per le “aree interne”.

 

Si assume che il livello minimo necessario richiesto per soddisfare il requisito istituzionale sia la gestione associata, a mezzo Convenzione definita ai sensi dell’articolo 30 della Dlgs 267/2000 (Tuel), di almeno due funzioni fra quelle indicate dall’articolo 19, comma 1, Dl n. 95/2012 convertito in legge 135/2012, diverse da quelle indicate dalle lettere f) [organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi] ed g) [progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall’articolo 118, quarto comma, della Costituzione] del medesimo articolo.

 

Il criterio, definito dal Comitato tecnico nazionale (http://www.agenziacoesione.gov.it/opencms/export/sites/dps/it/documentazione/Aree_interne/Documenti_di_lavoro/Il_pre-requisito_generale_della_gestione_di_servizi_comunali_nella_Strategia_Nazionale_per_le_Aree_Interne.pdf) , tiene conto di eventuali limiti e vincoli demografici imposti ai Comuni dalla legislazione nazionale e regionale, soprattutto con riguardo all’obbligo legale (ora sospeso fino a dicembre 2016) di gestione associata prescritto per i Comuni con meno di 5.000 abitanti (articolo 14 del Dl 787/2010 convertito in legge 122/2010 e successive modifiche).

 

Le convenzioni dovranno stabilire fini, durata, forme di consultazione degli enti contraenti e disciplinare i rapporti finanziari e i reciproci obblighi e/o garanzie. Le Convenzioni dovranno inoltre prevedere o la costituzione di uffici comuni, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo ovvero, in subordine, attribuire la delega di funzioni a favore di uno di essi, che opererà in luogo e per conto degli enti partecipanti. Le Convenzioni devono essere infine validamente stipulate dai Comuni appartenenti alle “aree progetto” al momento della sottoscrizione dell’accordo di programma quadro attuativo della strategia. Il requisito associativo si considera naturalmente soddisfatto se i Comuni dell’area progetto operino nell’ambito di Unioni di Comuni ovvero di Unioni montane, se e dove queste ultime siano previste dalla legislazione regionale.

 

Complessivamente in tutte le aree territoriali interessate da Snai si è registrato un avanzamento interessante dei processi associativi (una rassegna delle aree si trova sul sito http://www.agenziacoesione.gov.it/it/arint/). Lo sviluppo è stato più lineare nelle Regioni dove, in attuazione della legislazione nazionale, erano state adottate normative di riordino degli enti locali. In diverse regioni, soprattutto alpine, per esempio, la trasformazione ope legis delle Comunità montane in Unioni di comuni montani ha favorito indubbiamente il processo.

 

Un’analisi più puntuale di questo particolare profilo è in corso di svolgimento a cura di Ifel, la Fondazione per la finanza e l’economia locale dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e sarà presto resa disponibile (Il lavoro fa seguito al primo rapporto sul tema predisposto da Ifel e pubblicato in http://www.fondazioneifel.it/studi-ricerche-ifel/item/3110-i-comuni-della-strategia-nazionale-aree-interne). In molti casi, i Comuni avevano già realizzato -con amministrazioni limitrofe- accordi per gestire funzioni e\o servizi in forma associata, ma la diversa perimetrazione definita con il metodo “aree interne” li ha costretti a ripensare strategie associative e rivedere le modalità operative di collaborazione intercomunale.

 

Questo ha comportato tempi più lunghi di istruttoria e valutazioni tecniche più approfondite circa il riordino delle gestioni, impegnando gli esperti del Comitato nazionale a svolgere sul punto un intenso e capillare lavoro di supporto ai Comuni. Generalmente, la fase di individuazione delle funzioni e/o servizi da aggregare in rapporto al perseguimento di alcuni obiettivi specifici tipici della strategia (per esempio: accorpamento plessi scolastici, potenziamento dei servizi di mobilità interna all’area, rafforzamento dei presidi sanitari territoriali, ecc.), non ha presentato molti problemi: gli amministratori hanno normalmente dimostrato un sincero spirito collaborativo ed affrontato la discussione in modo aperto e partecipato.

 

Da questo punto di vista, le scelte adottate nella maggior parte dei casi (per esempio sui temi della gestione associata del trasporto scolastico o delle mense scolastiche, dei servizi informativi e di gestione della viabilità, delle funzioni di protezione civile e catasto, ecc.) sono risultate appropriate e coerenti con gli obiettivi Snai. Maggiori problemi sono invece emersi in fase esecutiva, quando cioè si è dovuto passare dalle intenzioni alla predisposizione pratica degli atti necessari ad avviare le gestioni associate.

 

Hanno giocato in questa fase, in parte, resistenze e timori di perdita di autonomia da parte di singoli amministratori. Infine, oltre le volontà politiche espresse dall’area (che bisogna dire, nella maggioranza dei casi hanno accettato di buon grado la sfida dell’associazionismo), difficoltà si sono registrate a causa della complessità della riprogettazione gestionale delle funzioni nonché dalla scarsa abitudine a lavorare in forma integrata e coordinata, non solo fra diversi Comuni ma sovente anche all’interno della medesima amministrazione.

Fonte: ANCI, Associazione Nazionale Comuni Italiani - articolo di Francesco Monaco
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