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“Alla faccia della semplificazione”: una riflessione su procedura di gara e fase di partecipazione

lentepubblica.it • 14 Ottobre 2016

atti bandi accessoIl nuovo Codice dei contratti pubblici d.lgs. 50/2016 è stato propagandato con forte enfasi come un testo unico all’insegna della semplificazione delle procedure di appalto. Tuttavia, relativamente alla fase di partecipazione alle gare di appalto nulla sembra cambiato, atteso che l’art. 80 e ss. ripropongono in sostanza il medesimo iter del d.lgs. 163/2006, con onere per il concorrente di presentare una corposa documentazione di gara e consequenziale aggravio per la stazione appaltante di verificarne la regolarità: il tutto complicando l’intero iter della gara di appalto, con il risultato di aumentare le difficoltà di partecipazione per i concorrenti, prolungare i tempi di svolgimento della procedura per le stazioni appaltanti e aumentare il contenzioso “pre” e “post” aggiudicazione dell’appalto. A tal proposito si aggiunge anche l’ambiguità dell’istituto del “soccorso istruttorio” come definito dall’art. 83 comma 9 del Codice che recita: Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all’articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all’offerta tecnica ed economica, obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria … In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere, da presentare contestualmente al documento comprovante l’avvenuto pagamento della sanzione, a pena di esclusione. … Costituiscono irregolarità essenziali non sanabili le carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa; quindi, prima si afferma che può essere sanata la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo (lasciando intendere addirittura che il termine “mancanza” possa essere riferito a qualsiasi documento, finanche al DGUE) e poi si afferma che non sono sanabili le “carenze” della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa: pertanto, non è affatto chiaro cosa sia sanabile e cosa non sia sanabile, ma nella norma alberga una confusione tale da generare incertezza di diritto causa di incremento esponenziale del contenzioso negli appalti (si spera con fiducia che le linee guida dell’ANAC definiscano con chiarezza l’ambito di applicazione del soccorso istruttorio, atteso che anche la giurisprudenza di merito sinora si è espressa con sentenze alquanto contraddittorie).

 

Inoltre, a norma dell’art. 80 commi 7 e 8 del Codice, qualora la stazione appaltante accerti che il concorrente, o un subappaltatore della terna di cui all’art. 105 comma 6 del Codice (ove ne sussista l’obbligo), si trovi in una delle situazioni motivo di esclusione ex art. 80 comma 1 – limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato – e comma 5 del Codice, l’esclusione non è automatica (come chiarito anche dalle linee guida dell’ANAC in corso di consultazione), ma l’operatore economico è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. Se la stazione appaltante ritenga che le predette misure adottate dall’operatore economico siano sufficienti a dimostrare la sua integrità e affidabilità morale, lo stesso non è escluso della procedura d’appalto; viceversa dell’esclusione viene data motivata comunicazione all’interessato. Di conseguenza il processo di gara si complica e si allunga oltremodo, altro che semplificazione.

 

E’ il caso di rilevare, tra l’altro, che l’art. 80 commi 1, 2 e 3 del d.lgs. 50/2016 consente la partecipazione alle gare di appalto per concorrenti con requisiti antimafia meno restrittivi di quelli imposti dal Codice antimafia (d.lgs. 159/2011), determinando pertanto una discrasia di norme che certo non agevola l’uniforme adozione delle misure preventive tese a combattere l’intrusione della criminalità organizzata nella filiera dell’appalto pubblico. In proposito, appare illogico limitare la verifica antimafia solo al socio unico persona fisica o al socio di maggioranza persona fisica (come previsto dal Codice dei contratti pubblici in contrasto con il Codice antimafia) per le società con meno di quattro soci (in difformità con l’art. 85 del Codice antimafia che prevede la verifica antimafia nei confronti del socio di maggioranza per le società con un numero di soci pari o inferiore a quattro), visto che la garanzia di moralità del concorrente che partecipa a un appalto pubblico non può limitarsi al socio persona fisica, ma anzi maggiormente deve interessare il socio persona giuridica per il quale il controllo antimafia ha più ragione di essere trattandosi di società collegate in cui potrebbero annidarsi fenomeni di irregolarità ai fini della trasparenza (c.d. sistema delle scatole cinesi) e di infiltrazioni mafiose dissimulate. Se lo spirito del Codice dei contratti pubblici è quello di assicurare legalità e trasparenza nei procedimenti degli appalti pubblici, occorre garantire l’integrità morale del concorrente sia se persona fisica che persona giuridica. Tra l’altro, viceversa, verrebbe violato il principio della par conditio dei concorrenti in quanto una società concorrente con socio unico o socio di maggioranza che sia persona fisica sarebbe soggetto alla dichiarazione antimafia, mentre se si tratta di persona giuridica non sarebbe soggetto alla dichiarazione antimafia. Dunque, la discrasia tra la norma del Codice dei contratti pubblici, che riguarda la partecipazione alle gare di appalto, e del Codice antimafia, che afferisce al divieto di stipulare contratti pubblici qualora ne ricorrano i relativi presupposti, porta all’irrazionale conclusione che un concorrente idoneo (a norma del Codice dei contratti pubblici) a partecipare a una gara di appalto non sarebbe poi idoneo (a norma del Codice antimafia) a stipulare il relativo contratto di appalto se ne fosse aggiudicatario. Pertanto, si rende necessario uniformare le citate norme dei due Codici predetti, privilegiando, per le dette ragioni, le disposizioni del Codice antimafia, sicché possa essere garantita la regolarità della posizione giuridica del concorrente per instaurare rapporti con la p.a. al momento della partecipazione alla gara e al momento della stipula del contratto dopo l’aggiudicazione.

 

Altra problematica è il dispositivo dell’art. 105 comma 6 del Codice che prevede l’obbligo dell’indicazione della terna dei subappaltatori. E’ il caso di rilevare che l’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 al comma 2 novella che “Nei documenti di gara l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all’offerente di indicare, nella sua offerta, le eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti: quindi la norma europea non pone un obbligo per gli Stati membri di indicare i subappaltatori proposti per le parti da subappaltare, ma lascia libertà di decisione allo Stato membro di prevedere tale indicazione dei subappaltatori come una  facoltà per le stazioni appaltanti o come un obbligo. Lo Stato italiano, nella legge delega 28 gennaio 2016 n. 11, oltre a scegliere l’infelice opzione dell’obbligo di indicare i subappaltatori per casi specifici, ha addirittura esteso tale obbligo all’indicazione di una terna per ogni subappalto, aggravando e appesantendo ulteriormente e spropositatamente il procedimento di gara (appare evidente che chi ha scritto la norma, confermata nel Codice come obbligo per le gare sopra soglia comunitaria e come facoltà per quelle sotto soglia, non ha mai esperito una gara di appalto e perciò non conosce praticamente le relative difficoltà connesse a tale tipo di procedura).

 

Inoltre, sempre l’art. 105 del Codice al comma 13 prevede l’obbligo di pagamento diretto, da parte della stazione appaltante, ai subappaltatori che appartengano alla tipologia della microimpresa o della piccola impresa: tale norma contrasta con l’art. 13 comma 2 lettera a) della legge n. 180 del 11/11/2011 (c.d. Statuto delle imprese) che rende invece obbligatorio il pagamento diretto al subappaltatore che appartenga alla fattispecie delle micro, piccole e medie imprese (per cui la norma di Codice è difforme in quanto non cita anche le medie imprese). Tra l’altro, nel rispetto del principio generale sancito dall’art. 218 (Aggiornamenti) del Codice – che novella “Ogni intervento normativo incidente sul presente codice o sulle materie dallo stesso disciplinate è attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute”, deve ritenersi, in deroga al criterio della cronologia delle leggi, che la citata norma dello Statuto delle imprese prevalga su quella dell’attuale Codice in quanto, sebbene essa faccia espresso riferimento al precedente Codice dei contratti pubblici d.lgs. 163/2006 (ora sostituito dal d.lgs. 50/2016), la stessa comunque non è stata modificata dal subentrante nuovo Codice e, dunque, è tuttora vigente anche rispetto al nuovo Codice.

 

 

 

Proposta

 

Declinando dalla presunzione di aver trovato la giusta soluzione al problema, si ritiene che la semplificazione del processo concorrenziale potrebbe realizzarsi concretamente ricorrendo al criterio di ammissione alla gara basato esclusivamente sul “certificato di qualificazione del concorrente”, sia in merito ai requisiti di legge di ordine generale che speciale. Pertanto, il certificato di qualificazione dell’operatore economico deve essere rilasciato da parte di idonei organismi di certificazione conformi alle specifiche norme europee di cui all’allegato VII della Direttiva 2014/24/UE 26/2/2014; detto allegato VII (ripreso dall’allegato XVI del d.lgs. 50/2016) elenca i “registri professionali e commerciali, le dichiarazioni e i certificati” corrispondenti per ciascuno Stato membro dell’UE. Per l’Italia sono elencati i seguenti registri: “Registro della Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato»; per appalti di forniture e di servizi, anche il «Registro delle Commissioni provinciali per l’artigianato» o, oltre ai registri già menzionati, il «Consiglio nazionale degli ordini professionali» per appalti di servizi; per appalti di lavori o di servizi, l’«Albo nazionale dei gestori ambientali» oltre ai registri già menzionati”. Alla luce del criterio proposto, per l’ammissione di un concorrente alla gara di appalto, sia in relazione ai requisiti di ordine generale che speciale (ovvero requisiti di moralità, professionalità, capacità economica, tecnica e organizzativa), è sufficiente che lo stesso sia in possesso di regolare “certificato di qualificazione”. Di conseguenza, ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto, la verifica dei requisiti di qualificazione va eseguita, nei modi e termini di Codice, soltanto nei confronti dell’aggiudicatario (e non anche per il secondo in graduatoria, come invece previsto dal Codice, visto che questi non influisce affatto sull’aggiudicazione dell’appalto e perciò non ha senso effettuare alcuna verifica di requisiti nei suoi confronti, a meno che il primo graduato non fosse escluso all’esito negativo dei controlli). Inoltre si ritiene che il certificato di qualificazione dell’operatore economico non può essere appannaggio delle SOA che, oltre a essere soggetti privati, sono anche remunerati dall’operatore economico da qualificare: pertanto non è ammissibile che il “controllato” paghi il “controllore” in quanto tale rapporto di natura economica non garantisce affatto l’imparzialità della SOA ma anzi ne determina una condizione di conflitto di interessi. L’organismo certificatore deve essere necessariamente un soggetto “indipendente” e soprattutto “pubblico”. A tal fine l’attività di qualificazione degli operatori economici per lavori, servizi e forniture potrebbe essere svolta senz’altro dalle CCIAA e per i professionisti dagli Ordini professionali: tale scelta trova legittimità nella norma europea con riferimento al citato allegato VII della Direttiva 2014/24/UE 26/2/2014 (ripreso dall’allegato XVI del d.lgs. 50/2016), nonché è in linea con le funzioni e competenze di certificazione e controllo già attribuite dalla legislazione nazionale ai predetti soggetti che ne saranno ulteriormente ampliate qualora fossero riconosciuti come “organismi certificatori”. Tra l’altro, conferendo la funzione di certificatore ai predetti soggetti, sarebbe sufficiente stabilire normativamente che essi svolgano, con frequenza periodica per esempio semestrale, i controlli previsti dal Codice dei contratti pubblici per la partecipazione alle gare di appalto, sia di ordine generale che speciale, atteso che parte dei predetti controlli sono già effettuati dalle CCIAA e dagli Ordini professionali nei confronti dei propri iscritti. Per realizzare il predetto processo di semplificazione è opportuno uniformare le tipologie di qualificazione per categorie di prestazioni e classifiche di importo per lavori, servizi e forniture. In tale modo, i concorrenti possono partecipare alle gare di appalto esibendo il solo “certificato di qualificazione” richiesto dal bando, che attesti il possesso dei requisiti generali e speciali di legge, oltre la dichiarazione sostitutiva o altra certificazione specifica relative a eventuali ulteriori requisiti particolari richiesti dal bando di gara in ordine alla fattispecie dell’appalto.

 

Per gli operatori economici stabiliti in altri Stati membri dell’UE, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi, si deve necessariamente fare riferimento alle certificazioni e attestazioni di qualificazione previste dalla legislazione dello Stato membro, equivalenti a quelle previste dalla legge italiana e che attestino i medesimi requisiti di idoneità, ovvero, per i requisiti non certificati dagli organismi competenti, facendo ricorso alla dichiarazione sostitutiva.

Fonte: articolo del Geom. Enzo De Falco
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