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Immobili: parte ceduta in affitto a terzi non è esentasse

lentepubblica.it • 29 Settembre 2016

affitto, modello RLILa porzione di immobile che il contribuente ha ceduto in affitto a terzi non è esente da imposizione e deve essere tassata secondo un criterio proporzionale riferito ai dati catastali. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 37169 del 7 settembre 2016, intervenendo in merito alla sussistenza o meno del reato di dichiarazione infedele per intervenuto superamento della soglia di punibilità prevista dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000, ha stabilito che la plusvalenza derivante dalla rivendita dell’immobile entro il quinquennio è imponibile per la parte data in locazione anche se una porzione dello stesso immobile è stata adibita ad abitazione principale.

 

La vicenda processuale

 

La Corte d’appello ha condannato una contribuente per il reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000) per omessa dichiarazione di una plusvalenza generata da un immobile ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir. Nel caso in esame è emerso che l’imputata, proprietaria di un immobile utilizzato in parte quale abitazione principale della figlia e in parte locato, ha sostenuto la non imponibilità totale della plusvalenza, asserendo che dovesse ritenersi prevalente e assorbente la circostanza che l’immobile venisse utilizzato quale abitazione principale da parte di un familiare. In particolare, la ricorrente sostiene che “tale situazione di fatto implica la non imponibilità totale della plusvalenza realizzata, non essendovi a questo fine distinzione tra l’uso promiscuo e l’uso esclusivo in detta disposizione del TUIR”. Pertanto, nel giudizio di legittimità, l’imputata ha lamentato la violazione di legge riguardo all’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir, per avere la Corte territoriale ritenuto superata la soglia di punibilità penale di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000. La Corte di cassazione non ha condiviso la linea difensiva della ricorrente e ha annullato con rinvio alla Corte d’appello che, sulla base dei principi espressi dalla Corte in merito all’imponibilità della plusvalenza, dovrà pregiudizialmente accertare il superamento delle nuove soglie di punibilità previste dalla legge per il reato di omessa dichiarazione.

 

Decisione della Corte di cassazione

 

La questione principale della controversia, posta al vaglio della Corte e avente valore dirimente per la configurabilità del reato di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000, è la rilevanza dell’uso promiscuo di un immobile abitativo di proprietà rivenduto nel quinquennio per la non imponibilità totale della plusvalenza. In concreto, il dubbio risulta essere il seguente: l’uso abitativo solamente parziale dell’immobile assorbe o meno l’uso non abitativo ai fini della tassazione della plusvalenza? La norma di riferimento è l’articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir, secondo cui costituiscono redditi diversi “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari”. Dunque, non è da assoggettare a tassazione la cessione del fabbricato avvenuta prima del decorso del quinquennio dall’acquisto, nel caso in cui l’abitazione, per la maggior parte del periodo tra l’acquisto e la vendita, sia stata adibita ad abitazione principale da parte del proprietario o dei suoi familiari.

 

Con risoluzione 231/2007, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che la vendita a titolo oneroso della nuda proprietà dell’unità immobiliare, sebbene avvenga entro il quinquennio dall’acquisto, non genera plusvalenza imponibile quando detto immobile sia stato destinato, a propria abitazione principale, per la maggior parte del periodo compreso tra l’acquisto e la successiva cessione. Inoltre, con risoluzione 218/2012, è stato precisato che, in caso di immobile destinato immediatamente ad abitazione principale dell’usufruttuaria, occorre che il contribuente dimostri che ha utilizzato l’immobile come abitazione principale per la maggior parte del periodo compreso tra l’acquisto e la vendita della casa.

 

Tali principi sono stati confermati da altre pronunce della Corte di cassazione, che ha più volte ribadito che, per verificare se il contribuente può o meno usufruire della deroga alla tassazione della plusvalenza prevista dall’articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir, la prova deve consistere in circostanze oggettive e deve essere prodotta dal contribuente (cfr Cassazione, 20094/2009). Dunque, il richiamato articolo 67 non tratta esplicitamente l’uso promiscuo del bene immobile e contiene esclusivamente riferimenti temporali in merito “alla maggior parte del periodo” di utilizzo dello stesso.

 

Ritornando al caso in esame, la Corte di cassazione rigetta la tesi di parte ricorrente e afferma che la norma in questione non esclude affatto che, ai fini impositivi, si possa e si debba distinguere tra parte immobiliare adibita ad abitazione principale del cedente e dei suoi familiari e parte immobiliare ceduta a qualsiasi titolo ai terzi. I giudici precisano al riguardo che “interpretando la disposizione legislativa come ha fatto la difesa della ricorrente si giungerebbe a risultati aberranti e senza dubbio alcuno estranei alla chiara ratio legis che è evidentemente quella di espungere dall’area della presunzione legale l’uso familiare dell’immobile ceduto nel quinquennio, anche se non illimitatamente”.

 

Interessante è il percorso motivazionale della Corte di cassazione laddove afferma che la tesi sostenuta dalla ricorrente comporta risultati distorsivi nel sistema: “basti pensare al caso, sostanzialmente inverso a quello che occupa, in cui di un intero condominio il proprietario cedente (ovvero un suo familiare) abbia occupato soltanto un appartamento, avendolo locato per il resto a terzi. È chiaro che riconoscendo in tal caso l’esclusione ‘per intero’ della plusvalenza lo scopo della norma impositrice sarebbe in concreto elusa”.

 

A parere dei giudici di legittimità, quindi, per motivi logici e sistematici, non c’è altra via per interpretare l’articolo 67 del Tuir se non quella di considerarne per implicito sussistente un contenuto che, in caso di uso promiscuo dell’immobile, “implichi la necessità di distinguere ai fini impositivi la parte che rientra nella previsione agevolativa da quella che invece ne è fuori; che quindi importi una determinazione dell’imposta sulla scorta di un calcolo percentuale basato su tale rapporto peraltro facilmente ancorabile – per il profilo quantitativo – ai dati catastali”. Nel primo caso, vale la regola di esclusione Irpef per la destinazione nel quinquennio ad abitazione principale, mentre nel secondo caso tale causa di esclusione non può invocarsi e, pertanto, va individuata la parte di plusvalenza riferita a tale immobile e soggetta a imposizione.

 

Come innanzi detto, la questione non è di poco conto laddove la valutazione può determinare il superamento della soglia di punibilità alla luce delle nuove soglie introdotte dal Dlgs 158/2015 che, in riforma dei reati tributari, ha elevato le soglie di punibilità previste dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000, applicabili in relazione ai processi già in corso alla data della sua entrata in vigore, come da ultimo anche ribadito dalla Corte di cassazione con sentenza 30148/2016.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Filomena Scarano
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