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Macerie edili, quando è consentito il riutilizzo?

lentepubblica.it • 10 Ottobre 2017

macerie edilizieLa Corte di Cassazione con la sentenza 41607/2017, ha espresso un principio che espone in quali casi le macerie edili sono considerate “sottoprodotti” e quindi possono essere riutilizzabili.


Nel caso di specie, l’imputato risponde di reato perché, in qualità di liquidatore della società proprietaria del suolo, nonché di amministratore unico della società, effettuava una raccolta di rifiuti non pericolosi in mancanza della prescritta comunicazione ex art. 261 (rectius: 216), d.lgs. n. 152 del 2006, ed in particolare, avvalendosi della manodopera dei suoi collaboratori, produceva e depositava all’interno della citata area privata recintata cumuli di rifiuti costituiti da macerie edili, guaine bituminose, spezzoni di legno, rifiuti plastici, ecc. ecc.

 

Dalla lettura della sentenza risulta che all’interno dell’area sopra indicata, ormai in disuso da alcuni anni, era stata accertata la presenza di cumuli di rifiuti costituiti da materiale ferroso, termosifoni in ghisa, sacchi di plastica, macerie edili, guaine bituminose, materiale di risulta derivante da demolizione.

 

L’accertamento era stato effettuato dalla Polizia Locale di Milano a seguito del reclamo di un residente (le cui dichiarazioni sono state acquisite al fascicolo del dibattimento ed utilizzate a fini di prova) che aveva denunziato la presenza di una vera e propria discarica. Il terreno era stato acquistato nel 2007 e, per stessa ammissione dell’imputato (in coerenza, tra l’altro con l’odierna linea difensiva), era stato utilizzato come luogo di deposito di materiale edile proveniente dalla demolizione di una palazzina e destinato ad essere riutilizzato sia per la costruzione di una nuova palazzina, per la quale i finanziamenti richiesti tardavano ad arrivare, sia in altri cantieri edili.

 

Nel caso di specie, stando alla lettura della sentenza impugnata, non si è in presenza di “sottoprodotti”.

 

Sottoprodotti, infatti, son sempre stati quelle sostanze o quegli oggetti dei quali sin dall’inizio sia certa, e non eventuale, la destinazione al riutilizzo nel medesimo ciclo produttivo o alla loro utilizzazione da parte di terzi (art. 183, comma 1, lett. n, d.lgs. 152/2006, nella sua versione originaria; art. 183, comma 1, lett. p, d.lgs. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4; art. 184-bis, d.lgs. 152/2006, introdotto dall’art. 12, d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205).

 

È questa certezza oggettiva del riutilizzo che esclude a monte l’intenzione di disfarsi dell’oggetto o della sostanza (così espressamente art. 183, comma 1, lett. p, d.lgs. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) e che concorre, insieme con le ulteriori condizioni previste dalle norme definitorie che si sono succedute nel tempo, a escluderlo dall’ambito di applicabilità della normativa sui rifiuti. La mancanza di certezze iniziali sull’intenzione del produttore/detentore del rifiuto di «disfarsene» e l’eventualità di un suo riutilizzo legata a pure contingenze, impedisce in radice che esso possa essere qualificato come «sottoprodotto». Il deposito di rifiuti da demolizione in attesa di un loro eventuale riutilizzo denunzia ex se la mancanza della iniziale certezza del loro riutilizzo prima ancora della loro produzione.

 

In allegato il testo completo della Sentenza.

 

 

 

Fonte: Corte di Cassazione
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