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Finti bio-shopper: contrasto al fenomeno dalla Terra dei Fuochi

lentepubblica.it • 19 Maggio 2015

terra dei fuochi 2In Campania c’è una grande voglia di rinascere e di riscattarsi: rinascere per archiviare la pagina della Terra dei Fuochi e parlare di una Terra Felix, per combattere le ecomafie, la camorra e il pizzo, per dimostrare che in questo territorio ci sono tante esperienze virtuose realizzate da cittadini, imprenditori, agricoltori e amministrazioni comunali che credono in uno sviluppo ambientale sostenibile all’insegna della legalità.

 

Tra le tante storie di rinascita campana c’è quella della Cooperativa Ventuno e del comune di Caiazzo. La prima è una start-up per la per la rivendita di prodotti ecologici e compostabili (dai bioshopper ai prodotti per l’agricoltura a quelli usa e getta per la ristorazione) nata dall’idea e dall’impegno di Massimiliano Noviello e Gennaro Del Prete.

 

Due uomini accomunati dalla morte dei rispettivi padri uccisi dalla camorra perché volevano un’Italia libera dalle illegalità: Federico Del Prete, sindacalista degli ambulanti, nel 2002 aveva denunciato il racket delle buste di plastica alla fiera settimanale di Mondragone facendo arrestare un vigile urbano. La camorra lo ha ucciso il 18 febbraio 2002, il giorno successivo avrebbe dovuto testimoniare nel processo a cui lui stesso aveva dato impulso.

 

Stessa sorte per l’imprenditore Domenico Noviello, che nel 2008 era riuscito a far arrestare e condannare gli emissari del clan dei Casalesi. Ma la loro morte non è stata vana, perché il loro coraggio e la voglia di una società civile fondata sulla legalità e sul lavoro onesto continua oggi a vivere nella cooperativa sociale fondata dai figli.

 

Il Comune di Caiazzo (Ce), invece, è stato il primo municipio in Italia ad applicare la legge sulle buste per la spesa e a diffondere i bioshopper. Le due esperienze territoriali sono state presentate a Castel Volturno, in provincia di Caserta, nell’ambito di “Memoria, Impegno e Riscatto”, giornata organizzata da Legambiente, insieme alla Federazione Antiracket Italiana, al Comitato Don Peppe Diana, alla Cooperativa Ventuno, a Slow Food Campania e che si è aperta ricordando Domenico Noviello, ucciso il 16 maggio del 2008 e le tante altre vittime innocenti della mafia.

 

La diffusione e la circolazione degli shopper illegali, spacciati per biodegradabili, nella grande distribuzione e nei mercati rionali è una questione molto seria, perché oltre a far male all’economia del Paese, ad alimentare il ciclo di illegalità e a causare gravi danni all’ambiente, rischiano di vanificare quanto realizzato fino ad oggi dalle legge sui bioshopper. La normativa, entrata definitivamente in vigore nel 2012, ha permesso in questi tre anni una forte riduzione del consumo di buste usa e getta e una riscoperta della sana abitudine delle sporte riutilizzabili. Eppure ci sono ancora troppi sacchetti di plastica non a norma in circolazione.

 

Secondo i dati elaborati da Legambiente a partire dall’analisi del mercato nazionale effettuata da Plastic Consult per Assobioplastiche, in Campania sono prodotti circa 1,3 miliardi di shopper illegali, pari a oltre 10.000 tonnellate di sacchetti non conformi. Il valore della vendita di questi shopper illegali (sia prodotti in Italia che importati) è stimabile intorno ai 42mln di euro, per circa 9,2mln di euro di IVA (senza considerare l’evasione, che si stima pesi intorno al 30%). Se questi sacchetti invece di essere illegali fossero tutti a norma di legge, ossia compostabili, il fatturato salirebbe a circa 72 milioni di euro per un incasso di IVA di poco meno di 16 milioni di euro.

 

I sacchetti monouso biodegradabili e compostabili conformi alla legge, che possono essere tranquillamente utilizzati anche per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti, devono avere la scritta “biodegradabile e compostabile”; la citazione dello standard europeo “UNI EN 13432:2002”; il marchio di un ente certificatore che tutela il consumatore come soggetto terzo (Cic, Vincotte e Din Certco sono i più diffusi). Tutti i sacchetti che non riportano queste specifiche danno un’informazione sbagliata e non sono conformi alla legge.

Fonte: Legambiente
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