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Il Comune che sposta il Vigile al Cimitero fa mobbing?

lentepubblica.it • 20 Aprile 2017

vigili polizia locale cimitero mobbingIl comune che trasferisce l’agente scomodo al cimitero lasciandolo senza alcuna incombenza lavorativa può essere condannato per mobbing? Ecco cosa ne pensa la Cassazione.


La Corte di Cassazione ha, tra i motivi della decisione, denunciato violazione degli artt. 4 e 6 d.lgs. 165/01, poichè la Corte di Appello di Reggio Calabria aveva ritenuto illegittime le delibere della giunta comunale del luglio 2004, con cui il B. venne inquadrato nella qualifica Istruttore Amministrativo; tali determinazioni avevano ad oggetto modifiche della pianta organica, materia che esula dalla competenza dirigenziale.

 

La parte ricorrente contesta la sussistenza del mobbing, deducendo che il B. prestò regolare servizio per un triennio senza nulla lamentare, ma nell’immediatezza del verbale della Commissione medica si rifiutò di prestare servizio esterno anche in via sporadica; il Comune chiese la revoca della qualifica di Agente di Polizia Municipale, non avendo necessità di un agente che prestasse servizio interno e procedette ad inquadrare il B. quale Istruttore Amministrativo; d) lo stesso viene successivamente assegnato all’Ufficio Tributi. Alla stregua dei fatti, non vi erano elementi per affermare l’esistenza di un intento persecutorio o di vessazioni poste in essere dal Comune ai danni del proprio dipendente.

 

Ma ciò che più rileva l’agente è che il locale indicato nel provvedimento come gli uffici cimiteraili collocati all’esterno dell’Ente già dotati di strumenti informatici e di mobilia, nelle fotografie prodotte risulta essere una stanza che presenta varie suppellettili ed oggetti che fanno pensare in maniera inequivoca ad una camera mortuaria annessa al cimitero.

 

Insomma un luogo igienicamente non adeguato, non conforme alle più elementari norme di sicurezza, oltre che lesivo della stessa dignità umana. Sicché appare del tutto ovvio che, in primo luogo, fosse impossibile rendere la prestazione lavorativa in quel luogo, oltre che appare evidente che tale locale avesse una funzione al tempo stesso punitiva e rappresentativa, essendo volto a veicolare un messaggio chiaramente mobbizzante di cui era destinatario direttamente il lavoratore ed indirettamente anche gli altri, messaggio che né lui, né gli altri, colleghi o meno, avrebbero potuto fraintendere.

 

Vi è un duplice onere a carico del ricorrente, quello di produrre il documento e quello di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

 

L’illegittimità dell’atto è stata valutata dalla Corte di appello anche (e soprattutto) per il demansionamento in cui il mutamento di assegnazione si espresse. Valutando il complesso delle acquisizioni istruttorie, la Corte di merito ha rilevato che sin da settembre/ottobre 2004 il B. , nella nuova posizione assegnata, venne dapprima relegato a compiti esecutivi non riconducibili a profili della categoria di inquadramento (area C), ma riferibili addirittura a mansioni di area A, e successivamente venne privato del tutto delle mansioni.

 

 

 

In allegato la Sentenza.

 

 

Fonte: Corte di Cassazione
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