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Jobs Act: favorite più assunzioni a tempo indeterminato?

lentepubblica.it • 13 Luglio 2015

jobsL’effetto Jobs Act si fa sentire sul mercato del lavoro, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato e delle stabilizzazioni – lo si evince dalle comunicazioni obbligatorie (nota ministeriale di luglio) – ma i dati sulla disoccupazione restano drammatici (Oecd Employment Outlook), soprattutto tra i giovani (il 42,7% nel 2014, il doppio del 2007). Anche i salari medi restano tra i più bassi d’Europa e dei paesi industrializzati, ma il Jobs Act, secondo l’Ocse, segna “un importante passo avanti per ridurre le disuguaglianze”:

 

«aumentando gli incentivi alla creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato con il nuovo contratto a tutele crescenti ed estendendo la copertura dei sussidi di disoccupazione» […] con «importanti misure per aumentare le risorse destinate alle politiche attive sul mercato del lavoro e migliorarne l’efficacia».

 

A maggio 2015 in Italia i contratti di lavoro attivi risultavano 934.258, con un saldo positivo fra assunzioni e cessazioni di 184.707. In aumento il tempo indeterminato, 19% dei nuovi contratti di maggio. Positivo anche il saldo fra nuove assunzioni a tempo indeterminato e cessazioni (271 unità). Il dato forse più emblematico riguarda le stabilizzazioni: in termini assoluti 30.325 (+43,2% su base annua). In calo invece le assunzioni a tempo determinato (da 70,3 a 68,8%) e le collaborazioni (da 5,7 a 3,9).

 

Si rileva una timida tendenza di crescita delle assunzioni a tempo indeterminato, riconducibile alla nuovo contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act, che consente maggior flessibilità sul fronte dei licenziamenti che gode anche di sgravi contributivi (previsti dalla Legge di Stabilità). Rispetto al totale, come dicevamo, in forte calo tempo determinato (che più risente delle riforme, come rivela il dato sulle trasformazioni) e le collaborazioni (in base al Jobs Act destinato a sparire nel 2016).

 

L’Ocse registra punte record di disoccupazione in Italia: nel 2014 picco del 13% a novembre e a fine anno pari al 12,7% (sei punti in più rispetto ai livelli pre-crisi). Il miglioramento a maggio 2015 (12,45) delinea un trend 2015 meno drammatico, con un tasso medio a fine anno di 12,4% per scendere poi sotto nel 2016 (11,9%). Il dato peggiore è quello sulla disoccupazione giovanile pari al 42,7%, con un aumento di 2,7 punti sul 2013 e un raddoppio sul livello pre-crisi (20,4% nel 2007). In pratica, più di un giovane under30 su quattro non ha lavoro e non studia, con un gap rilevante rispetto alla media Ocse (circa 12,5%).

 

Cresce anche il numero di contratti precari fra i giovani (dal 52,7% del 2013 al 56% nel 2014), con un aumento di 14 punti dai livelli pre-crisi e di 30 punti sul 2000. E molto spesso il precariato dura a lungo:

 

«solo il 55% delle persone che entrano nel mercato del lavoro cominciando con un lavoro temporaneo hanno un contratto permanente dieci anni dopo in Italia, uno dei dati più bassi nell’Ocse».

 

E c’è poi un buon 40% di giovani under25 che mantengono il posto di lavoro per meno di 12 mesi.

 

Passando dai dati sulla disoccupazione a quelli sugli stipendi, le note restano dolenti: il salario medio nel 2014 in realtà è leggermente aumentato, +0,8%, ma resta in calo dell 0,4% rispetto al 2007 e soprattutto resta decisamente in coda alla classifica dei 34 paesi analizzati: 20esimo posto, dietro a gran parte dei paesi europei. Lo stipendio medio italiano è calcolato in 35.442 dollari contro i 44.007 della Germania, 40.917 della Francia e 38.386 della Spagna. I due paesi con la media più alta sono Stati Uniti e Lussemburgo, sopra quota 60mila dollari.

Fonte: PMI (www.pmi.it) - articolo di Barbara Weisz
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