Sta facendo ormai da tempo discutere il ricorso al regime del carcere duro “41-bis”: ma scopriamo in breve cos’è e come e quando si applica questa misura.
In un momento storico in cui temi molto “caldi” come quello dell’ergastolo ostativo e delle intercettazioni sono al centro di progetti di riforma torna a fare discutere anche il cosiddetto 41-bis, il regime di carcere duro previsto in Italia.
A far dibattere negli ultimi mesi sull’argomento sono stati alcuni casi giuridici di rilevanza nazionale.
In primo luogo il caso di Alfredo Cospito, militante anarchico insurrezionalista condannato a 10 anni e 8 mesi nel 2014.
M ha fatto anche discutere la detenzione a L’Aquila del superboss Matteo Messina Denaro, malato di tumore.
Questi due casi hanno polarizzato il dibattito pubblico sul fatto che depenalizzare il 41-bis, per una parte dell’opinione pubblica, significherebbe essere “magnanimi” nei confronti dei mafiosi incarcerati con questo regime speciale.
Una volta introdotto il tema inquadrato nella situazione attuale scopriamone di più su che cos’è nello specifico il cosiddetto “41-bis”.
L’articolo 41-bis è una disposizione dell’ordinamento penitenziario italiano introdotta dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, che prevede un particolare regime carcerario. Per la rigidità delle prescrizioni carcerarie è anche noto come “carcere duro“.
La normativa è poi stata rafforzata e delineata in modo completo con il d.l n. 306/1992, a cavallo delle stragi mafiose del 1992 e con la l. 279/2002 ha smesso di essere una misura “emergenziale” ed è diventato cardine del sistema a tempo indeterminato. Infine, nel 2009, con la l. 94/2009 è stato adeguato ad alcuni rischi di incostituzionalità, data l’incoerenza con il principio rieducativo della pena.
La normativa prevede la possibilità per il Ministero della giustizia di sospendere l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza per alcuni detenuti (anche in attesa di giudizio) incarcerati per reati di criminalità organizzata, terrorismo, eversione e altri tipi di reato.
Questi sono i delitti per cui si può applica questo tipo di pena:
Il provvedimento può durare quattro anni e le proroghe due anni ciascuna.
Il regime si applica a singoli detenuti ed è volto a ostacolare le comunicazioni degli stessi con le organizzazioni criminali operanti all’esterno, i contatti tra appartenenti a una stessa organizzazione all’interno di un carcere e i contatti tra gli appartenenti a diverse organizzazioni criminali, così da evitare il verificarsi di delitti e garantire la sicurezza e l’ordine pubblico anche fuori dalle carceri.
Sono previste alcune misure ulteriori collegate al carcere duro, con lo scopo specifico di stroncare possibili collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza:
l regime in 41-bis può essere revocato sostanzialmente in due ipotesi:
Fino al 2009 era inoltre possibile la revoca per opera dello stesso Ministro della giustizia nel caso in cui i presupposti che avevano giustificato il carcere duro fossero venuti a mancare, eventualità non più contemplata a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 94/2009.
Secondo un rapporto della Associazione Antigone con dati aggiornati alla fine del 2021 le persone al 41 bis sono 749 (13 donne), distribuiti in 12 istituti penitenziari della Penisola, con una sola sezione femminile e una casa di lavoro per persone in misura di sicurezza.
Si tratta di numeri in linea con quelli dell’anno precedente, quando si contavano 747 persone (735 uomini e 12 donne).