Agli amministratori di condominio, per l’attività svolta, spetta un compenso il cui ammontare, tuttavia, non trova un appoggio in alcuna tariffario professionale, in assenza di uno specifico albo degli amministratori di condominio. I criteri che in genere gli amministratori di condominio utilizzano per determinare l’ammontare del loro compenso sono i più disparati.
Una recente Sentenza, la n. 19507 della seconda sezione civile della Corte di cassazione, pubblicata lo scorso 2 marzo 2018, mette un po’ di chiarezza in questa anarchia apparente. L’attività dell’amministratore, in quanto connessa allo svolgimento dei compiti indicati dalla legge e dal contratto di mandato con rappresentanza che lo lega ai condomini, debba ritenersi integralmente compresa, dal punto di vista dell’ammontare del corrispettivo, nella somma stabilita al momento del conferimento dell’incarico di durata annuale.
L’amministratore non potrebbe unilateralmente richiedere al condominio compensi ulteriori rispetto a quelli originariamente pattuiti. Tuttavia, se la richiesta di un compenso ulteriore da parte dell’amministratore è accettata dal condominio mediante deliberazione assembleare, si stringe un nuovo patto tra le parti. Per questo i compensi degli amministratori di condominio, in questo caso, possono vedersi riconosciuti degli extra aggiuntivi rispetto a quello ordinario già contrattualizzato al momento dell’accettazione dell’incarico.
I principali parametri usati per calcolare il corrispettivo sono i seguenti:
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it