L’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, prevede che “Si ha conflitto di interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della Stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, ha direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, 62”.
A sua volta, il richiamato art. 7 d.P.R. n. 62 del 2013 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), rubricato “Obbligo di astensione”, stabilisce che “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.
La fattispecie descritta dall’art. 42, comma 2 del d.lgs. 50 del 2016 ha portata generale, come emerge dall’uso della locuzione “in particolare”, riferita alla casistica di cui al richiamato art. 7 d.P.R. n. 62 del 2013, avente dunque mero carattere esemplificativo. Ritiene il Collegio – considerate anche le finalità generali di presidio della trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa – che bene il primo giudice abbia ritenuto che l’espressione “personale” di cui alla norma in questione vada riferita non solo ai dipendenti in senso stretto (ossia, i lavoratori subordinati) dei soggetti giuridici ivi richiamati, ma anche a quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l’attività esterna.
In allegato il testo completo della Sentenza.