La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per la decisione di continuare ad applicare il regime di carcere duro del 41bis a Bernardo Provenzano, nel periodo che va dal 23 marzo 2016 alla morte del boss mafioso, il 13 luglio dello stesso anno. Secondo i giudici, il ministero della Giustizia italiano ha violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sottoponendo Provenzano a trattamenti inumani e degradanti.
L’avvocato del boss, Rosalba Di Gregorio, aveva chiesto senza successo la revoca del regime carcerario duro e la sospensione dell’esecuzione della pena per il suo assistito. Tutte le istanze erano state respinte.
L’11 aprile 2006 fu dato agli uomini della squadra speciale l’ordine di procedere al blitz e all’arresto, dopo aver avuto la conferma che questa era abitata: qualcuno, infatti, mise fuori dalla porta un sacchetto bianco. Gli uomini fecero irruzione nel casolare e arrestarono Bernardo Provenzano, latitante da quarantasei anni, che prima di desistere, sorpreso, tentò di chiudere la porta a vetri, che fu sfondata da Cortese e dagli uomini della squadra speciale. La prima cosa che disse il padrino fu “non sapete l’errore che state commettendo”, dopodiché non oppose più resistenza e, dopo aver confermato la sua identità, si complimentò con gli uomini della scorta e strinse loro la mano, chiedendo che gli venisse fornito l’occorrente per le iniezioni che doveva effettuare in seguito all’operazione alla prostata. Venne poi scortato alla questura di Palermo.
Il questore di Palermo Giuseppe Caruso affermò che Provenzano era stato catturato “grazie a indagini condotte in vecchio stile, attraverso pedinamenti e intercettazioni” e aggiunse che “Provenzano non è stato tradito da nessuno, non ci siamo avvalsi di pentiti né di confidenti”. Fu arrestato poi anche il proprietario del casolare. Il rifugio di Provenzano presentava un arredamento a dir poco spartano, con un letto, un cucinino, una stufa, un bagno, un frigo e la macchina da scrivere con cui il boss scriveva i suoi pizzini.
Dopo l’arresto Provenzano venne trasferito nel supercarcere di Terni, sottoposto a regime carcerario duro, come previsto dall’art. 41-bis. Dopo un anno venne trasferito nel carcere di Novara, dopo alcune proteste da parte degli agenti della penitenziaria che si occupavano della sua detenzione.
Lì il boss tentò diverse volte di comunicare con l’esterno, circostanza che portò il ministero della giustizia ad aggravare il carcere duro, applicando quanto previsto dall’art. 14-bis, cioè l’isolamento in una cella con divieto di televisione e radio.
Il boss ha subito le seguenti condanne per i suoi efferati e disumani omicidi e stragi:
Fonte: WikiMafia