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Frodi Fiscali: quali regole per le Imprese collegate?

lentepubblica.it • 8 Agosto 2016

frode fiscaleLegittima l’applicazione della misura cautelare in presenza di società cartiere, quando si ha ragione di credere che l’imputato possa reiterare la condotta penalmente illecita. In tema di fatture per operazioni inesistenti la terza sezione penale della Cassazione ha stabilito, con sentenza n. 28979 del 12 luglio 2016, che il soggetto che è amministratore sia della società emittente sia di quella utilizzatrice è punibile tanto per il reato di dichiarazione fraudolenta (articolo 2 del Dlgs 74/2000) quanto per quello previsto dall’articolo 8 del medesimo decreto (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).

 

Storico di lite

 

I dati processuali dell’articolata vertenza riguardano un soggetto che si trovava ai domiciliari perché accusato, nell’ambito di un complesso meccanismo di società cartiere “collegate” finalizzato a evadere l’Iva all’importazione di oli lubrificanti, di essere amministratore “di fatto” sia della società emittente le fatture per operazioni inesistenti sia di quella che le aveva utilizzate (articoli 2 e 8 del Dlgs 74/2000). In sede di opposizione all’ordinanza del riesame, l’imputato contestava, in particolare, l’esigenza della misura cautelare per carenza di motivazione rispetto al giudizio di colpevolezza, sottolineando che nei confronti degli enti giuridici presso i quali prestava la sua attività professionale non era stata applicata nessuna misura cautelare: prova, questa, della scarsa gravità delle condotte contestate. L’imputato, inoltre, denunciava la violazione dell’articolo 9 del Dlgs 74/2000 nella parte in cui sono state ascritte al ricorrente tanto la violazione in concorso dell’articolo 2 quanto quella dell’articolo 8 Dlgs 74/2000, mancando la dimostrazione che nel complesso sistema di cessioni il ricorrente rivestisse il ruolo di amministratore di fatto sia della società “finale” in favore della quale venivano fatte le cessioni sia degli enti cedenti fittizi. In definitiva, avrebbe errato il tribunale nel negare la non punibilità a titolo di concorso di persone nei casi di emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

 

Motivi della decisione

 

La Suprema corte ha però rigettato il ricorso dell’indagato. Al riguardo, occorre innanzitutto sottolineare che l’articolo 9 del Dlgs 74/2000, rubricato “Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, deroga all’articolo 110 del codice penale proprio in ricorrenza delle ipotesi di reato di cui agli articoli 2 e 8 del Dlgs 74/2000. Secondo la sezione penale, nel caso di specie, il tribunale del riesame ha correttamente escluso la violazione dell’articolo 9 in discorso sul rilievo che il ricorrente avesse provveduto sia all’emissione delle fatture per operazioni inesistenti che alla loro successiva utilizzazione, operando quindi sotto la duplice veste di amministratore (di fatto) del soggetto giuridico emittente le fatture e come amministratore dei sodalizi che quelle fatture avevano utilizzato. Nel giungere a tale conclusione, il giudice del riesame si è attenuto al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui, “in tema di reati tributari, il regime derogatorio previsto dall’articolo 9 del Dlgs n. 74/2000, non trova applicazione quando l’amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti coincida con il legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate” (Cassazione 19025/2013). Circostanza, questa, che impedisce l’applicazione del regime derogatorio al codice penale.

 

L’articolo 9, peraltro, è norma di portata generale, finalizzata soltanto a evitare che per la medesima operazione in frode si giunga a sanzionare l’utilizzatore due volte (ne bis in idem): una volta in quanto ha portato in contabilità e utilizzato in dichiarazione le fatture irregolari e l’altra in quanto ha concorso con l’emittente delle fatture medesime (Cassazione, sentenze 14862/2010 e 19247/2012). Tali circostanze, aggiunge la Suprema corte, non risultano essere state contestate dal ricorrente, il quale si è lamentato invece del fatto che il giudice cautelare lo avesse immotivatamente ritenuto, di volta in volta, amministratore di fatto sia della società emittente che di quella utilizzatrice. Ma tale qualifica nelle società implicate è supportata dall’acquisizione cautelare di una pluralità di elementi non validamente confutati (rapporti intrattenuti dalla segretaria del ricorrente, conversazioni telefoniche dell’imputato nelle quali egli dava inequivoco atto di essere stato amministratore di fatto della società di diritto rumeno, deposizioni rese da numerose altre fonti di prova), dai quali è stato desunto il ruolo del ricorrente.

 

In sostanza, nella specie assume decisivo rilievo la duplice veste del ricorrente: (a) amministratore di fatto del soggetto giuridico che ha emesso le fatture false; (b) amministratore di fatto del soggetto giuridico che quelle fatture ha utilizzato. In diritto sostanziale, correlazione tra l’articolo 21, comma 7, sulla debenza dell’Iva nel caso di fatture per operazioni inesistenti, e l’articolo 19 del Dpr 633/1972, sul disconoscimento della detrazione di costi fittizi (cfr Cassazione 1564/2014, 19411/2015, 26112/2015).

 

Il ricorrente, secondo i giudici, non avrebbe avuto difficoltà, in caso di misure meno restrittive della custodia, a ricorrere a prestanome per ripetere le stesse azioni illecite.
Da qui, la conferma dell’orientamento privilegiato dalla sentenza 28979/2016 in esame, che ne esce ulteriormente rafforzato.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Salvatore Servidio
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