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Imprese: guida alle norme su responsabilità amministrativa e legale

lentepubblica.it • 1 Settembre 2015

imprese sistema 231Il d.lgs. 231/01 disciplina la responsabilità amministrativa e penale delle imprese ma, dopo più di dieci anni, stenta ancora a trovare spazio applicativo nelle PMI. Soprattutto per ragioni economiche, infatti, non è sempre facile ragionare in termini di prevenzione, sia sotto il profilo del business, sia della sicurezza o dell’investimento. Tuttavia si parla di “modello 231” proprio per poterlo adattare alle specificità aziendali.

 

Il d.lgs. 231/01 è una sorta di grande calderone che annovera i reati che possono essere commessi nell’interesse e a vantaggio dell’ente, a fronte dei quali è ritenuto responsabile. Con il meccanismo sanzionatorio del sistema 231 l’azienda può dunque svincolarsi da ogni responsabilità solo se dimostra di aver adottato un efficace modello organizzativo e che l’illecito è stato compiuto aggirando i controlli predisposti. Per le PMI i reati maggiormente rilevanti possono individuarsi in quelli relativi a: rapporti con le Pubbliche Amministrazioni; crimini informatici, reati societari; omicidio colposo e lesioni colpose per violazione della sicurezza nei luoghi di lavoro; autoriciclaggio; reati ambientali.

 

Nel 2015 è stata aggiornata la disciplina in materia ambientale e societaria prevedendo nuove ipotesi di reato e innalzando la soglia della sanzione per le imprese. In materia ambientale la legge 68/15, tra le varie modifiche, ha introdotto nel codice penale il nuovo Titolo VI-bis “Dei delitti contro l’ambiente”, prevedendo un elenco di reati, tra cui:

 

  • inquinamento ambientale, chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;

 

  • disastro ambientale, chiunque, fuori dai casi crollo di costruzioni e disastri dolosi, abusivamente cagiona un disastro ambientale. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

 

Oltre a considerare varie ipotesi di aggravanti e attenuanti, prevede un ravvedimento operoso ma anche la confisca, il ripristino dello stato dei luoghi, come pure sanzioni a seguito di omessa bonifica da parte di chi vi sia obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica. Altre ipotesi di reato sono quelle relative al traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività e ai casi di impedimento del controllo (che espressamente richiama anche la disciplina in materia di sicurezza e salute sul lavoro).

 

La legge 69/15 ha invece apportato modifiche in materia di reati societari, in tema di false comunicazioni sociali:

 

  • per le società non quotate (art. 2621 c.c.) non è più “contravvenzione” bensì “delitto” (che significa sanzione più gravosa) e punisce amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori che per conseguire per sé o altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore. Ciò anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. I fatti elencati possono considerarsi di lieve entità tenuto conto della natura, delle dimensioni della società e delle modalità o effetti della condotta;

 

  • per le società quotate (art. 2622 c.c.), la legge punisce  amministratori, direttori generali e dirigenti  preposti  alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro  Paese dell’Unione europea che per conseguire  per  sé o altri un ingiusto profitto, nei  bilanci,  nelle  relazioni o altre  comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo  al  quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo a indurre altri in  errore.

 

La Corte di Cassazione con sentenza 33774 del 30 luglio 2015 ha infine ridimensionato il nuovo reato di falso in bilancio fornendo una interpretazione letterale e stringente. L’imprenditore può essere punito solo per i fatti non veri con esclusione dell’operatività sulle valutazioni poiché il nuovo testo circoscrive la punibilità ai soli dati oggettivi. Nelle motivazione della sentenza, tuttavia, emerge la necessità di un’attente verifica degli ”ambiti applicativi della nuova fattispecie di reato delle false comunicazioni sociali, ove si consideri che la maggior parte delle poste in bilancio altro non è se non l’esito di procedimenti valutativi e, quindi, non può essere in alcun modo ricondotta nell’alveo dei soli fatti materiali, come previsti dalla normativa introdotta dalla legge 69/2015”.

 

Da tutto questo due sono le conclusioni cui si deve giungere. La prima è che tutte le imprese che dovessero aver già adottato un modello 231 dovranno intervenire a aggiornare i processi di controllo in modo da adeguarsi alle novità appena introdotte. La seconda è che tutte le imprese, anche se non hanno adottato un modello, dovranno in ogni caso ripensare attività e scelte in ragione di tutte le novità, tutt’altro che secondarie.

 

Per quanto i modelli organizzativi non siano tutti uguali, spesso si ha timore di incatenare l’azienda in un sistema che impedisca di muoversi in autonomia o di affrontare un costo eccessivo e non foriero di reali vantaggi. Invece, il modello organizzativo deve essere considerato un trampolino di lancio per ottenere solidità economico-giuridica tale da permetterle di poter investire nel futuro (ragionando in termini di ritorno d’investimento). È in quest’ottica che deve essere pensato il modello 231.

 

Così come in materia di sicurezza sul lavoro le PMI fruiscono di modelli semplificati, il medesimo approccio dovrebbe essere adottato in materia di d.lgs. 231 (sorta di grande calderone che annovera i reati che possono essere commessi nell’interesse e a vantaggio dell’ente, a fronte dei quali è ritenta responsabile.

Fonte: PMI (www.pmi.it) - articolo dell'Avv. Emiliano Vitelli
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