L’orientamento prevalente dell’area progettazione può essere sul cliente, sulla strutturazione del processo, sulla sostenibilità, o sulla collaborazione (il preferito dalle PMI). Con vantaggi competitivi diversi, a volte però indeboliti da inefficienze, tra cui sovraccarico dei progettisti e sforamento di tempi e costi. L’analisi dell’Osservatorio GeCo del Politecnico di Milano.
In uno scenario economico sempre più complesso e globale, in cui il comparto manifatturiero deve conciliare attenzione ai costi, alti livelli qualitativi, time to market competitivi, e personalizzazioni di prodotto sempre più spinte, il processo di progettazione e sviluppo prodotti è sempre più strategico. Esiste un insieme di best practice, un modello di riferimento, per gestirlo al meglio? La risposta è no, o meglio ne esistono quattro, ciascuno adatto a un certo tipo di azienda, piccola o grande, e ciascuno con un mix diverso di risultati in termini di time-to-market, costi, e così via.
Questa la tesi principale del nuovo rapporto 2014-2015 dell’Osservatorio GeCo (Gestione dei processi collaborativi di progettazione) del Politecnico di Milano, basata su una serie di indagini su imprese manifatturiere italiane piccole, medie e grandi. Con la prima survey, su oltre 100 imprese, i ricercatori hanno definito le principali pratiche di progettazione utilizzate in Italia attraverso il modello CLIMB, basato su tre grandezze principali (organizzazione, processo, gestione della conoscenza), a loro volta articolate in varie voci secondarie, come per esempio informatizzazione e formalizzazione per la gestione della conoscenza.
Su quest’ultimo punto cui poco meno del 30% delle imprese risultano “ad alta maturità”, cioè con buon livello di informatizzazione basato su strumenti di prototipazione virtuale e digestione dei dati di prodotto (PLM), e diversi metodi e sistemi IT per rendere la conoscenza esplicita e trasferibile.
Con la seconda indagine e successiva analisi, su 266 aziende (di cui 53 piccole, 54 medie e 159 grandi), i ricercatori hanno poi definito i quattro modelli “archetipi di innovazione” del mondo manifatturiero italiano, associati per rendere immediati i concetti ai “Fantastici Quattro” del famoso fumetto Marvel, e quindi hanno definito le principali prestazioni competitive per ciascuno.
Il modello di “progettazione orientata al cliente”, associato alla Cosa, «consente di essere competitivi nei costi e nelle tempistiche e orientati soprattutto alla customizzazione, con tempestività, puntualità e qualità al di sopra dei competitor», ha spiegato Monica Rossi, Responsabile Ricerca dell’Osservatorio GeCo. il secondo modello, ispirato a Mister Fantastic, è basato su un approccio formale e pianificato alla progettazione, «con rilevazioni di performance e un aggiornamento costante scritto dei progetti: consente risparmi di costi e tempi e flessibilità nei progetti, e quindi un vantaggio competitivo soprattutto di innovatività».
Un terzo modello si basa sulla progettazione collaborativa (la Donna Invisibile), cioè sull’esplorazione simultanea in team di diverse alternative, e permette di essere competitivi in flessibilità e costi e superiori alla concorrenza soprattutto nella tempestività e puntualità oltre che nella qualità. È il modello preferito dalle PMI: il 33% di esse lo utilizza. Infine il quarto modello si basa sull’innovazione sostenibile (associata alla Torcia Umana), cioè sulla sostenibilità e innovazione dei prodotti attraverso l’attenzione alla logistica e alla seconda parte del ciclo di vita del prodotto: «Permette di essere competitivi nella differenziazione dei prodotti, ottenendo vantaggi per la loro qualità e varietà».
Questi vantaggi competitivi però nella pratica spesso sono parzialmente vanificati da inefficienze e sprechi, su cui si concentra l’ultima parte dell’analisi dell’Osservatorio. «Sprechi di tempo, conoscenza e risorse frenano l’innovazione di sviluppo e progettuale in grado di far competere le PMI e le grandi aziende italiane sui mercati internazionali», ha spiegato Sergio Terzi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio GeCo.
Un’ulteriore indagine su 123 imprese infatti evidenzia una “Top 10” degli sprechi nella progettazione in cui primeggiano le troppe e continue richieste di modifica, il sovraccarico di lavoro dei progettisti, e lo sforamento di tempi e costi dei progetti rispetto ai preventivi. «Le scelte, e quindi le inefficienze, in fase di progettazione rimangono per tutta la vita del prodotto e dell’azienda, e per di più dall’indagine emerge un certo fatalismo: gli sprechi per molti sarebbero facilmente evitabili».
Un problema è che gli sprechi per loro natura non sono tangibili e misurabili. Per questo i ricercatori dell’Osservatorio GeCo hanno messo a punto con un lungo lavoro un modello detto MyWaste, che misura l’indice di “spreco potenziale”, e l’indice di priorità di intervento. «Solo lo spreco associato alle informazioni di prodotto da inserire in diversi sistemi informativi, con relative codifiche e transcodifiche manuali, costa in un ufficio di 10 progettisti quasi 17mila euro l’anno».
In definitiva, ha concluso Terzi, il processo di sviluppo prodotto oggi è più che mai strategico, ma non esiste una sola ricetta vincente. «I risultati di queste ricerche possono essere spiazzanti, perché settori e dimensioni diverse delle aziende non danno risultati diversi, archetipi di innovazione diversi producono risultati simili, e il mondo si riconosce negli stessi sprechi. Ma tutto questo si può leggere anche in senso positivo: le aziende italiane stanno combattendo la stessa battaglia, hanno obiettivi comuni, e collaborando possono combattere le inefficienze».
Fonte: ICT4Executive (www.ict4executive.it) - articolo di Daniele Lazzarin