La partnership tra pubblico e privato nella gestione del patrimonio culturale è fondamentale. Esaminiamo le modalità con cui i privati possono intervenire.
Esiste ormai da diversi anni un rapporto di collaborazione tra soggetti pubblici e privati per quanto riguarda le attività di fruizione, gestione e valorizzazione dei beni culturali.
In che modo i soggetti privati possono apportare il loro contributo?
La cooperazione pubblico-privato nasce con la Legge n. 4/1993, meglio nota come Legge Ronchey dal nome del Ministro allora in carica, che introduce il concetto di servizi accessori ed apre le porte dei luoghi della cultura ad imprese commerciali e cooperative a cui possono essere affidati i servizi elencati all’art. 4, ovvero:
Il concetto viene esteso progressivamente anche alle funzioni “essenziali” come l’educazione, l’organizzazione di mostre temporanee, la comunicazione.
Il Codice dei Beni Culturali stabilisce inoltre che i servizi aggiuntivi possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria (art.117).
Il coinvolgimento dei privati e’ dunque innanzitutto finalizzato a migliorare l’offerta culturale, sollevando le amministrazioni pubbliche dai compiti per i quali non possedevano sufficienti competenze interne e che richiedevano capacità imprenditoriali e dotazioni tecnologiche adeguate. C’è ovviamente anche una convenienza economica in questa scelta, grazie alla possibilità di ottenere maggiori proventi che possono essere reinvestiti in altre attività strategiche.
La collaborazione del settore privato con le istituzioni culturali pubbliche non si esaurisce con la gestione dei servizi aggiuntivi.
Andiamo ad esaminare le diverse fattispecie in cui si realizza l’interazione tra le pubbliche amministrazioni e i privati, ovvero il mecenatismo, la sponsorizzazione, il partenariato e l’affidamento di servizi.
Non sempre queste forme di collaborazione hanno dato i frutti sperati e la situazione attuale ha evidenziato ulteriori criticità del partenariato pubblico-privato, a cominciare dalla mancanza di una normativa specifica che riconosca le “imprese culturali”, fino alle limitazioni imposte dal legislatore nel corso degli anni, che hanno scoraggiato i privati ad offrire la propria collaborazione.
Sul versante degli affidamenti, si sono verificati diversi casi di concessioni pluridecennali, che hanno prodotto scarsi risultati in termini di rendimento.
Per quanto riguarda l’Art Bonus, ne beneficiano enti lirici, istituzioni musicali ed enti gestori di patrimonio pubblico, escludendo non solo tutti i soggetti privati ma anche quelli istituiti e controllati dalla pubblica amministrazione.
Appare evidente che il rapporto tra le istituzioni pubbliche e i privati debba essere affrontato con un approccio diverso, considerando i privati come dei partner con cui strutturare e condividere il progetto culturale.
Il contributo delle imprese private non dovrà essere valutato soltanto sulla base della convenienza economica ma anche per la capacità di fornire soluzioni creative, di sviluppare nuove modalità di fruizione e valorizzazione e di aprire nuovi percorsi di interazione con il pubblico, grazie all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.