Il patto di non concorrenza è una clausola molto comune in diversi contratti di lavoro. Vediamo di cosa si tratta nello specifico.
Il patto di non concorrenza è una clausola che viene inserita in diversi accordi scritti tra datore di lavoro e lavoratori, nel campo del lavoro subordinato.
Ma di cosa si tratta nello specifico e quali sono le sue caratteristiche? Vediamolo insieme.
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Il patto di non concorrenza è una clausola contrattuale che può essere introdotta in un contratto di lavoro subordinato, tra datore e prestatore di lavoro, in comune accordo.
Consiste in una limitazione del prestatore di lavoro di svolgere attività professionali in concorrenza all’azienda, in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro.
A livello giuridico, il patto di non concorrenza è disciplinato dagli articoli 2125, 2596 e 1751-bis del Codice Civile, per lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e agenti commerciali.
Al momento della stipula del patto di non concorrenza, le due parti possono concordare un pagamento mensile per il prestatore di lavoro, soggetto a contributi pensionistici e che viene integrato alla retribuzione oppure è soggetto agli obblighi e al regime fiscale del TFR, al momento della cessazione del contratto.
Il Codice Civile parla del patto di non concorrenza come un obbligo di fedeltà tra datore e prestatore di lavoro, per ambo le parti.
Essendo una clausola riconosciuta dal Codice Civile, ci sono delle caratteristiche a cui il patto di non concorrenza deve adempiere, per poter essere considerato valido.
Queste caratteristiche sono:
Il patto deve garantire al prestatore di lavoro un guadagno idoneo alle esigenze lavorative del lavoratore, non deve compromettere la sua carriera e il diritto di migliorare le proprie condizioni lavorative e di mantenere una coerenza dell’impiego con la professionalità, sia quella acquisita durante gli studi che quella maturata con esperienze lavorative pregresse.
Se una di queste condizioni non viene rispettata, un giudice del lavoro può dichiarare nullo il patto di non concorrenza.
La stipula di un patto di non concorrenza è utile per non far fuoriuscire “personale-chiave” dall’impresa o dall’azienda. Esso obbliga il prestatore di lavoro a non svolgere attività concorrenziale per il tempo successivo alla cessazione di lavoro, dietro pagamento di una somma di denaro.
Solitamente il patto di non concorrenza si firma al momento dell’assunzione. Insieme ad essa, può essere presente anche una clausola di opzione o di recesso, a favore dell’azienda, che permette al datore di lavoro di valutare, a tempo debito, l’effettiva convenienza della stipula del patto di non concorrenza.
Il patto può comprendere qualsiasi tipo di attività autonoma o subordinata che possa danneggiare l’azienda, ma non comprende le attività estranee allo specifico settore produttivo o commerciale in cui opera l’azienda.
Il prestatore di lavoro che viola il patto di non concorrenza può essere accusato di concorrenza sleale, mentre l’azienda o l’impresa che lo ha assunto può essere accusata di concorrenza parassitaria.
In questo caso, il datore di lavoro può richiedere l’applicazione di una penale, prevista nel contratto di assunzione. In caso di violazione, il datore potrà richiedere la restituzione del corrispettivo pagato e un risarcimento danni, a seconda dell’entità del danno (che può essere anche a livello penale).
Inoltre, la violazione permette al datore di lavoro di richiedere una procedura d’urgenza per porre fine all’attività concorrenziale e far cessare immediatamente la prestazione lavorativa tra il lavoratore e il nuovo datore di lavoro.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it