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La Ricerca non ha colore: una sfida fra confini virtuali e scenari reali

lentepubblica.it • 20 Novembre 2020

Da Chiara Ferragni ad Angela Chianello! E Alberto Angela? Fermi tutti, ci pensa Roberto Lipari! Pensieri a voce alta sull’irresistibile ‘desiderio di apparire’ e sull’affamato ‘bisogno di sapere’.

L’analisi di Giusi Meli su archeoInn, sulle sfide nel mondo della Ricerca fra confini virtuali e scenari reali.


Il mondo dei social ha conquistato davvero tutti. Ogni generazione è ormai travolta dal vento di novità portato da questi potenti strumenti di informazione.

Il web, le modalità relazionali e la rapidità sempre più crescente di diffusione di immagini e testi da esso veicolati, investono ad ampio raggio la vita di ogni uomo non risparmiando nessuno dal rischio narcisistico di ‘cadere nell’ossessione di apparire’, un rischio caratterizzato innanzitutto da un innato bisogno di “visibilità”, che le tecnologie della comunicazione hanno contribuito fortemente ad esaltare.

Cosa significa far parte di questo universo mediatico?​

Alcuni ricercatori hanno definito questa “moda social”, non più solo come un semplice diversivo alla noia, bensì un nuovo modo di essere e di mostrarsi agli altri (Kuss& Griffiths).

È doveroso quindi osservare e forse anche provare a comprendere casi come quello, recentissimo, di Angela Chianello, uno fra i tanti ormai noti e discussi personaggi televisivi, che ai tempi del Covid-19 da ‘presunta vittima’ mediatica, cavalca abilmente l’onda del web facendo della sua stessa ‘immagine strappata’ una nuova icona trash.

Per combattere questo inno all’ignoranza diffusa che, nel caso della signora di Mondello, sfocia in forme di ostentazione di sé stessa al limite con il reale, addirittura improvvisandosi “diva della musica” e attirando altre critiche sul suo personaggio, già quest’estate una buona fetta dell’opinione pubblica ha preso posizione sul tema, fornendo largo consenso alla sfida – Angela contro Angela – promossa da Roberto Lipari (reporter di Striscia la Notizia). In tale occasione, il comico italiano, lancia lo slogan “La cultura che supera il trash”: una curiosa – e virale – challenge nata su Instagram allo scopo di invitare i followers del proprio account a seguire il profilo di ‘Alberto Angela’ (famoso divulgatore scientifico) piuttosto che quello della celebre ‘Angela Chianello’ con il suo “Buongiorno da Mondello” e “non ce n’è coviddi”.

 

 

Ed è la cultura (o l’affamato desiderio di essa) a imporsi in questa sfida dalla vittoria schiacciante “in termini numerici”, il cui risultato evidenzia la netta inversione di tendenza del pubblico rispetto al valore e alle possibilità da attribuire a questi strumenti di comunicazione, soprattutto in chiave sociale: nella loro accezione totalmente positiva, quali acceleratori reali per la diffusione della conoscenza e di una nuova modalità di educazione al patrimonio culturale.

Un’azione pubblicitaria (indotta in maniera trasversale), il cui risultato può essere banalmente osservato analizzando i dati Auditel del programma di Rai 1 – Ulisse. Il Piacere della Scoperta – che rilevano un crescente interesse del pubblico, tradotto in un’ottima percentuale share (quindi un accresciuto numero di spettatori del programma culturale) rispetto ad altre forme di intrattenimento televisivo potenzialmente più leggere, come ad esempio il reality di Canale 5 –Temptation Island.

Che dire, invece, del tanto discusso photoshoot estivo di Chiara Ferragni agli Uffizi di Firenze?

Presentata nell’articolo sul blog di Vogue nella veste di giovane visitatrice con tanto di ‘Shorts in denim’, un top bianco e una camicia a righe multicolor , Chiara Ferragni torna a tre mesi di distanza a far parlare sul web, di sé (e del museo), negli scatti epilogo della vicenda che hanno ulteriormente diviso gli intellettuali e il mondo della cultura.

 

 

In quest’ultimo caso, fra gli innumerevoli pareri discordanti, a vincere è, comunque, il direttore degli Uffizi Schmidt che ha ottenuto un “boom di visibilità” del museo, facendo ‘magistralmente leva’ su una tradizionale strategia pubblicitaria, che pone al centro della comunicazione la “famosa influencer” nel ruolo di testimonial, e attira così anche l’attenzione del pubblico dei più giovani, tendenzialmente non incline a frequentare i luoghi d’arte e cultura.

Il mondo della ricerca scientifica si rivolge ad una società composta da diversi interlocutori, molti i pubblici possibili, che innanzitutto nel web trovano uno ‘spazio di espressione’ facilmente accessibile e apparentemente privo di regole.

Un caleidoscopio di situazioni ed argomentazioni, che prendono forma in un quadro complesso di opinioni e punti di vista, fra i quali insediare anche aspetti informativi più sostanziali.

Le aspettative in merito ai benefici di una ‘comunicazione della ricerca’ sono, pertanto, molto alte, perché lo scopo è quello di formulare nuovi modelli di ‘educazione alla conoscenza’, in contrasto con il diffondersi senza freni del cosiddetto trash popolare, e proporre percorsi di formazione che possano coinvolgere i cittadini di ogni età, fornendo in questo grande ‘mare dell’informazione’ delle conoscenze  certificate, cioè oggettive e prive di interpretazioni soggettive, a maggior ragione se è presente un investimento economico di natura pubblica.

Diffondere i risultati della ricerca, dunque, aiuta a completare la ricerca stessa. Questo può definirsi lo scopo anche di programmi di vecchia data, fra tutti possiamo ad esempio citare ‘Super Quark’ di Piero Angela, ‘Eden – Un pianeta da Salvare’ oppure ‘Geo&Geo’ di Licia Colò, ‘Linea Blu’ di Donatella Bianchi e le rubriche del TG Leonardo di RAI 3, che affrontano molteplici temi legati al mondo della ricerca applicate alle scienze umane e naturali.

Un nuovo modo quindi, per dialogare con il pubblico, che viene chiamato ad intervenire in un processo di condivisione del sapere, come ad esempio nell’invito avanzato dalla campagna sociale “La ricerca non ha colore”, da me ideata e promossa attraverso il blog di informazione archeologica ArcheoINN | Archeologia e Innovazione, che intende richiamare emotivamente alla diversificazione per zone di emergenza in Italia.

Un’esperienza mediatica attraverso cui si invita in questo caso proprio ‘la comunità scientifica’ (e non solo) a condividere con maggiore costanza,  sotto l’hashtag #LaRicercaNonSiferma e gli altri, già noti ma poco adottati, la #RicercaCONDIVISA e #SharingRESEARCH, informazioni attinenti al mondo della ricerca, allo scopo di diffondere, in chiave divulgativa, la conoscenza dei risultati degli studi condotti da vari team e gruppi scientifici che operano sul territorio nazionale, per offrire, in tal modo, ‘opportunità alternative’ di crescita e di benessere per la società.

 

Fonte: articolo di Giusi Meli (tratto da https://www.archeologiainnovazione.it/)
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