L’Amministrazione finanziaria ha ragione a contestare l’effettività delle operazioni contenute in fatture irregolari, ritenendo impossibile dedurre i costi. La fattura, infatti, deve essere redatta in modo da costituire un documento “idoneo a rappresentare i costi dell’impresa”. Così la Corte di cassazione, nella sentenza 9846 del 13 maggio 2016.
I dati del processo
La sentenza origina da due avvisi di accertamentonotificati a una società, con i quali venivano ripresi a tassazione alcuni costi sostenuti per delle provvigioni, in ragione di una generica formulazione delle fatture stesse, che pregiudicavano l’esercizio di verifica del Fisco, non consentendo l’individuazione, da parte degli agenti, delle prestazioni rese. In entrambi i giudizi di merito, la società è risultata soccombente, evidenziando il giudice di appello, in adesione alle difese erariali, la genericità dell’indicazione delle fatture e sottolineando che la contribuente non ha neanche esibito gli estratti conto. Nel prosieguo, la società lamenta violazione degli articoli 19 e 21 del Dpr 633/1972 (decreto Iva) e 109 del Dpr 917/1986 (Testo unico imposte sui redditi), laddove la Ctr ha ritenuto che la mancata individuazione in fattura della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi oggetto dell’operazione impedisca di accertare l’inerenza del costo ai ricavi dell’impresa e che le fatture costituiscono gli unici documenti utili a tale scopo.
La decisione
Ma neppure nel grado di legittimità le ragioni della ricorrente trovano soddisfazione. Secondo la sezione tributaria, infatti, in tema di distribuzione dell’onere della prova (articolo 2697 del codice civile), qualora l’Agenzia delle Entrate sollevi questioni sulla deducibilità dei costi indicati, la fattura resta comunque un documento “idoneo a rappresentare i costi dell’impresa”. Certo, evidenziano i giudici, essa deve essere “redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto” ed è una conseguenza evidente che “l’irregolarità della fattura fa venir meno la presunzione della verità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo”.
L’Amministrazione finanziaria, dunque, ben può contestare l’effettività di operazioni indicate in fatture irregolari, ritenendo i costi indeducibili. Occorre, infatti, considerare che il sistema dell’Iva, armonizzato in forza della disposizioni comunitarie (a partire dalla sesta direttiva 388/77/Cee), è retto dai due principi fondamentali di neutralità dell’imposta (che ne riversa il carico sul consumatore finale non imprenditore) e di detraibilità di quanto pagato dall’imprenditore per l’acquisto dei beni necessari per l’attività svolta, principio funzionale – esso stesso – al meccanismo della neutralità (cfr Cassazione, pronunce 3454/2014 e 8628/2015; Corte giustizia C-285/11 del 2012 e C-271/12 del 2013).
Peraltro, la norma per cui la fattura deve contenere, tra le altre, le indicazioni della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione (articolo 21 del Dpr 633/1972), risponde a oggettive finalità di trasparenza e di conoscibilità, essendo funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria e, segnatamente, a consentire l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione. Va da sé, dunque, che un’indicazione generica dell’operazione fatturata non soddisfa le finalità conoscitive che la norma intende assicurare, sicché è legittima l’irrogazione della relativa sanzione (Cassazione, sentenza 21980/2015).
Conclusioni
In ultima analisi, premesso che ai sensi dell’articolo 1749, comma 2, del codice civile, l’estratto conto indica gli elementi essenziali in base ai quali è stato effettuato il calcolo delle provvigioni, la Cassazione considera indenne da censure l’operato del secondo giudice, atteso che:
Conseguenze
Ma quali sono le conseguenze di una descrizione troppo generica in fattura? Si riassume tale irregolarità nei seguenti effetti: