lentepubblica


Dichiarazione redditi: per la presentazione sussiste semplice ricevuta postale

lentepubblica.it • 19 Marzo 2015

postaNel caso di spedizione a mezzo raccomandata postale risultante dall’apposita ricevuta rilasciata all’atto dell’invio, opera una presunzione di recapito del piego a cura del servizio postale universale mentre, con riguardo al contenuto del piego stesso, sussiste una presunzione semplice a favore del mittente che presenta in giudizio la copia, anche informale, del documento spedito.
Così si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 991 del 21 gennaio 2015, confermando un principio di indubbia valenza generale.

 

La vicenda di merito e il ricorso in Cassazione

L’11 luglio 1995 veniva dichiarato il fallimento di una società e il successivo 10 novembre il curatore spediva al competente Centro di servizio un piego postale contenente, a suo dire, la dichiarazione dei redditi per il periodo precedente al fallimento.
Poiché nel corso di successive verifiche emergeva che per l’esercizio 1995 la dichiarazione fiscale non era presente in Anagrafe tributaria, l’ufficio, tra l’altro, irrogava la sanzione prevista per omessa presentazione del documento e recuperava altresì maggiori imposte.

 

L’impugnazione dell’atto tributario veniva rigettata dal giudice di prime cure, il cui decisum era confermato dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, con sentenza del 17 luglio 2007.

 

Il collegio d’appello, per quanto d’interesse in questa sede, riteneva che, ai fini della dimostrazione dell’avvenuta presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno in contestazione, non era sufficiente la ricevuta di spedizione della raccomandata al Centro di servizio, non attestando essa né che il piego conteneva realmente la dichiarazione né che esso fosse stato effettivamente consegnato al destinatario.

 

Ricorrendo in sede di legittimità, la curatela fallimentare censurava le riferite conclusioni della Commissione regionale, osservando che, in base alla legge, la prova a carico del mittente sarebbe costituita soltanto dalla ricevuta di spedizione della raccomandata o da altro documento dell’amministrazione postale comprovante la data di consegna all’ufficio postale e gravando invece sul destinatario la prova della mancata ricezione della busta.

 

La pronuncia della Suprema corte

La Corte ha ritenuto fondato il motivo, rilevando anzitutto che l’articolo 12 del Dpr 600/1973, nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevedeva al secondo comma che la dichiarazione dei redditi, con i relativi allegati, poteva anche essere spedita al competente Centro di servizio per raccomandata, nel qual caso si considerava presentata nel giorno di consegna all’ufficio postale; al terzo comma che, in tale ipotesi, la prova della presentazione era data dalla ricevuta di spedizione della raccomandata “o da altro documento dell’amministrazione postale comprovante la data della consegna all’ufficio postale”.
In virtù di ciò, si legge nella pronuncia, l’avvenuta presentazione della dichiarazione era collegata alla semplice spedizione del documento risultante dalla ricevuta postale di accettazione del piego e non alla successiva ricezione di questo, “non essendo richiesto l’inoltro con avviso di ricevimento” e stante, altresì, la “presunzione di normale recapito a cura del servizio postale universale (cass. Sez. 3, n. 22133 del 2004)“.
Quanto poi all’effettivo contenuto della busta spedita a mezzo raccomandata postale, puntualizza la pronuncia, “valgono le regole ordinarie che pongono una presunzione semplice a favore del mittente che presenta in giudizio la copia, anche informale, del documento spedito (Cass. Sez. 6-1, n. 15762 del 2013)”.

 

Osservazioni

La pronuncia in rassegna contiene due importanti affermazioni di principio che assumono rilievo rispetto alla disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni eseguite, anche in via “diretta”, ovvero senza l’intermediazione di un pubblico ufficiale notificatore, mediante spedizione di un atto o di un documento a mezzo di raccomandata postale.

 

In materia tributaria, l’utilizzo della raccomandata “diretta”, di regola con avviso di ricevimento, è previsto per la notificazione sia degli atti del procedimento amministrativo tributario sia degli atti del processo tributario, in base a una molteplicità di norme.

 

Tra le più rilevanti, quanto agli atti tributari, si ricordano: l’articolo 14 della legge 890/1982, per il quale la relativa notifica può essere eseguita “a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari…”; l’articolo 60 del Dpr 600/1973, che individua nella raccomandata con avviso di ricevimento lo strumento ordinario di notificazione al contribuente “non residente”; altre norme riferite a specifiche tipologie di atti (articolo 3, commi 4 e 5, Dl 261/1990 e articolo 54, comma 7, Dpr 633/1972).

 

Anche per gli atti della riscossione, l’articolo 26, primo comma, del Dpr 602/1973 consente la notificazione della cartella “anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento”.

 

Infine, relativamente agli atti del processo tributario dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali, l’articolo 16, comma 3, del Dlgs 546/1992, prevede, tra le altre, la possibilità di eseguire le notificazioni anche “direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento…”.

In tutti questi casi possono sorgere contestazioni, sia relative all’effettivo recapito al destinatario del piego postale sia con riguardo al contenuto del piego stesso.

 

In proposito, sin dalla sentenza 22133/2004 (espressamente confermativa delle sentenze 10536/2003 e 10284/2001), la Suprema corte ha ritenuto che una lettera raccomandata, anche senza avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione attestata dalla relativa ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata tra l’altro sull’“ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso”, incombendo sul destinatario “l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente”.

 

A identiche conclusioni, più di recente, la Corte è pervenuta con la pronuncia 15762/2013, rilevando che l’avvenuta produzione in giudizio sia delle ricevute di spedizione sia di quelle di ritorno, oltre che della copia dei documenti che il mittente afferma spediti, costituisce idonea prova sia dell’invio che della ricezione delle raccomandate “in ragione della presunzione logica che impone il collegamento tra la ricevuta di spedizione in una certa data di una raccomandata ad un certo destinatario e la ricevuta di ritorno pervenuta al mittente che a distanza di tre giorni attesta il ricevimento di una raccomandata da parte del medesimo destinatario”.

 

Sul punto, va anche ricordata la Cassazione 20786/2014, in cui si legge che, nella disciplina delle raccomandate postali, l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario “deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. 6 giugno 2012, n 9111)”.

 

La sentenza 991/2015, dunque, ribadisce principi che appaiono decisamente consolidati e che possono costituire un utile criterio guida per l’attività d’interpretazione che le Commissioni di merito sono quotidianamente chiamate a porre in essere.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Massimo Cancedda
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments