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IVA: ecco quando i Comuni ne sono soggetti

lentepubblica.it • 21 Dicembre 2016

IVA disciplinaLa regola generale prevede che gli enti pubblici e Comuni sono esclusi dall’ambito applicativo del tributo; questo principio, però, è accompagnato da talune significative eccezioni.

 

 


 

Analizziamo le condizioni al verificarsi delle quali un ente territoriale può essere considerato un soggetto passivo Iva, leggendo in parallelo la normativa nazionale e quella comunitaria.

 

La soggezione passiva secondo la direttiva Iva

 

Definizione generale

 

Secondo l’articolo 9 della direttiva 112/2006, che riproduce il contenuto dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva 77/388/Ce del 17 maggio 1977, si considera soggetto passivo “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Si considera «attività economica» ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”.

 

Deve essere, quindi, considerato soggetto passivo:

 

 

  • chiunque. A livello unionale non ha alcuna rilevanza la condizione soggettiva dell’agente. Saranno pertanto soggetti passivi coloro che agiscono uti singuli, coloro che esercitano un’attività in forma associata, gli enti e le società (sentenza C-60-90 del 20 giugno 1991)
  • in modo indipendente. Tale requisito serve ad escludere dal campo applicativo del tributo tutti coloro che svolgono un’attività con vincolo di subordinazione. Tali soggetti, invero, non creano valore aggiunto e non partecipano al gioco della concorrenza (cfr. art. 4, par. 4, 77/388/Cee);
  • svolge un’attività economica indipendentemente dallo scopo e dai risultati. Tale precisazione riveste grandissima importanza soprattutto con riferimento agli enti pubblici.
    Ciò che rileva al fine di qualificare un’attività come “economica” è l’astratta possibilità che la stessa sia esercitata in modo lucrativo. Pertanto, restano escluse solo le attività che non sono oggettivamente esercitabili in modo profittevole poiché non esiste un mercato di riferimento ovvero poiché la domanda è talmente debole da non consentire, sistematicamente, la copertura dei costi fissi e variabili di produzione. Come vedremo, tali circostanze ricorrono tipicamente nel processo produttivo dei “beni pubblici”.

 

 

L’ultima parte della norma pare recare una presunzione di soggettività passiva per chi sfrutta, lucrativamente, beni materiali o immateriali. Anche in tale caso è, comunque, sempre necessario che lo sfruttamento sia effettuato per il tramite di un’attività economica: la semplice detenzione e concessione in uso del bene non comporta l’assoggettamento al tributo. Una fattispecie particolare è rappresentata dall’attività di compravendita immobiliare.

 

L’articolo 4, paragrafo 3, direttiva 77/388/Ce, aveva, infatti, concesso agli Stati membri la facoltà di considerare soggetto passivo “chiunque effettui a titolo occasionale un’operazione relativa alle attività di cui al paragrafo 2 e in particolare una delle operazioni seguenti: a) la cessione, effettuata anteriormente alla prima occupazione, di un fabbricato o di una frazione di fabbricato e del suolo attiguo; gli Stati membri possono determinare le modalità di applicazione di questo criterio alla trasformazione di edifici nonché il concetto di suolo attiguo; b) la cessione di un terreno edificabile”. Questa opzione avrebbe, quindi, permesso di assoggettare a Iva le compravendite immobiliari da chiunque effettuate, anche se non relative a un’attività economica. Lo Stato italiano, però, non ha esercitato tale opzione; pertanto, i proventi derivanti dalle compravendite immobiliari sono imponibili solo se effettuate all’interno di un’attività economica organizzata.

 

Regole applicabili agli enti pubblici

 

Con specifico riferimento agli enti di diritto pubblico, l’articolo 13 della direttiva 112/2006, che riproduce il contenuto dell’articolo 4, paragrafo 5, direttiva 77/388/Ce, afferma che:

 

“1. Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. Tuttavia, allorché tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza. In ogni caso, gli enti succitati sono considerati soggetti passivi per quanto riguarda le attività elencate nell’allegato I quando esse non sono trascurabili.

 

2. Gli Stati membri possono considerare come attività della pubblica amministrazione le attività degli enti di diritto pubblico quando esse sono esenti a norma degli articoli 132, 135, 136 e 371, degli articoli da 374 a 377, dell’articolo 378, paragrafo 2, dell’articolo 379, paragrafo 2, o degli articoli da 380 a 390 quater”.

 

La regola generale, quindi, prevede che gli enti pubblici sono esclusi dall’ambito soggettivo del tributo. Tale regola, però, è accompagnata da talune significative eccezioni:

 

 

  • l’esclusione non deve comportare lesioni rilevanti della concorrenza
  • l’esclusione non opera per le attività immanentemente commerciali (per tali attività, gli Stati potevano optare per una esclusione basata sul concetto di trascurabilità; l’Italia non ha esercitato tale opzione)
  • l’esclusione non opera quando l’ente non agisce quale pubblica autorità. La veste pubblicistica dell’agere deve essere letta alla luce del regime giuridico previsto dal diritto nazionale e deve estrinsecarsi nell’esercizio di poteri pubblici.

 

 

Sul significato e sulla portata delle norme citate, in forza di un rinvio pregiudiziale effettuato dalla commissione tributaria di Piacenza, è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di giustizia della Cee che, nella sentenza del 17 ottobre 1989, riferita alle cause riunite 231/87 e 129/88, ha così statuito:

 

1) L’art.4, n.5, primo comma della sesta direttiva va interpretato nel senso che le attività esercitate in quanto pubblica autorità” ai sensi di tale norma sono quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori privati. Spetta a ciascuno Stato membro scegliere la tecnica normativa più consona per trasporre nel diritto nazionale il principio del non assoggettamento sancito da detta norma;

 

2) L’art.4, n.5, secondo comma, della sesta direttiva, va interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti a garantire l’assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità allorché tali attività possono essere pari esercitate da privati in concorrenza con essi e qualora il loro non assoggettamento sia atto a provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza, ma non hanno l’obbligo di recepire letteralmente tale criterio nel loro diritto internazionale, né di precisare limiti quantitativi di non assoggettamento;

 

3) L’art.4, n.5, terzo comma, della sesta direttiva, va interpretato nel senso che non impone agli Stati membri l’obbligo di recepire nella loro normativa tributaria il criterio del carattere non trascurabile, inteso come condizione per l’assoggettamento delle attività elencate all’allegato D”.

 

 

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Adolfo Trombetta
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