Ad avvalorare la decisione anche la Corte di giustizia Ue, la quale ha ritenuto compatibile, con le direttive comunitarie, la normativa nazionale che prevede il tributo.
Ripresentatasi nuovamente la questione all’attenzione della sezione tributaria della Corte, le decisioni precedentemente adottate non sono state replicate; al contrario, è emerso un dubbio sulla effettiva sopravvivenza nell’ordinamento della tassa in questione. In particolare, con varie argomentazioni, la sezione tributaria rimettente escludeva chiaramente che il presupposto impositivo poteva considerarsi ancora esistente e di conseguenza esprimeva un parere a sfavore circa la legittimità della tassa.
Di qui, l’ordinanza di rimessione 12052/2013 al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, per una pronuncia definitiva dei giudici di legittimità.
L’argomentazione alla base della ordinanza può così sintetizzarsi: “L’uso dei telefoni cellulari è soggetto alle regole del d.lgs. 269 del 2001, e non a quelle del codice delle comunicazioni. Pertanto, poiché il d.lgs. 269 del 2001 non subordina l’uso del telefono al rilascio di alcun provvedimento amministrativo, manca il presupposto stesso per l’applicazione della tassa sulle concessioni governative”.
La decisione delle sezioni unite
La pronuncia 9560/2014 delle sezioni unite potrà mettere finalmente un punto sulla questione. In sintesi, le statuizioni che hanno dato piena conferma alla tesi dell’Amministrazione.
Sul piano della compatibilità della norma nazionale con le direttive comunitarie, i giudici hanno dichiarato che l’analisi della disciplina, tanto delle direttive, quanto della normativa di attuazione, porta a concludere che, da un lato, il codice delle comunicazioni (Dlgs 259/2003) non si occupa solo delle comunicazioni radio, ma anche di quelle telefoniche, disciplinando le une e le altre sul piano delle condizioni di accesso; dall’altro, il Dlgs 269/2001 non si occupa solo dei telefoni, ma anche delle radio trasmittenti e non appare giustificato sostenere, sul piano normativo, che la tassa di concessione governativa sui “telefonini” sia da ritenere abrogata per il solo fatto che il Codice delle comunicazioni non disciplina più l’uso dei terminali radiomobili di comunicazione (cioè i telefoni). Va rilevato, inoltre, che la Corte di giustizia si è già espressa nel senso di ritenere compatibile con le direttive comunitarie la normativa nazionale che prevede un tributo come la tassa di concessione governativa (ordinanza 12 dicembre 2013 in causa C-335/13, Umbria Packaging srl).
Sul piano della verifica dell’eventuale abrogazione delle norme, in base alle quali si fonda la pretesa dell’amministrazione, i giudici chiariscono che il riferimento all’articolo 318, contenuto nell’articolo 21, deve intendersi attualmente riferito all’articolo 160 del Dlgs 259/2003, considerato che il dettato normativo della prima disposizione è integralmente trasfuso nell’articolo 160 della nuova normativa.
Inoltre, si esclude che vi sia stata una abrogazione espressa del Dm 33/1990, successivamente integrato con il Dm 512/1993, pacificamente ritenuto lo strumento normativo che avrebbe incluso i “telefoni cellulari” nelle “stazioni radioelettriche” soggette a “licenza d’uso”, stabilendo anche l’equivalenza tra “licenza d’uso” e “abbonamento”.
I giudici di legittimità rilevano, poi, come, nel difficile quadro di contrastanti posizioni esegetiche che si è determinato in ordine alla questione in argomento, lo stesso legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per un “definitivo e rassicurante” chiarimento con l’articolo 2, comma 4, del Dl 4/2014.
Questa norma interpretativa prevede che “Per gli effetti dell’articolo 21 della Tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’articolo 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto articolo 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”.
Ritenendo quindi dovuta la tassa sui telefonini, la Corte affronta l’altro aspetto importante del contenzioso: verificare se la tassa in questione, pur essendo dovuta, lo sia anche da parte degli enti locali o a quest’ultimi possa intendersi estesa l’esenzione spettante all’Amministrazione dello Stato. A questa domanda deve darsi risposta negativa in quanto, innanzitutto, la predetta esenzione non è specificamente prevista dal Dpr 641/1972 che, all’articolo 13-bis, comma 1, disciplina specificamente i casi di esenzione dal pagamento del tributo.
È da escludere, per ragioni di ordine sistematico e sostanziale, la possibilità di applicare l’invocata esenzione ai Comuni in base a un’interpretazione analogica dell’articolo 74, comma 1, del Tuir, che esclude dall’applicazione dell’Ires lo Stato e altri enti pubblici, compresi i Comuni.
Al riguardo, rilevano il differente ambito impositivo dell’Ires rispetto alla tassa sulle concessioni governative e la diversità dei relativi presupposti legittimanti l’applicazione del tributo, nonché, l’impossibilità di estendere in via analogica al caso di specie la disposizione recata dall’articolo 74, in quanto, per costante giurisprudenza, le disposizioni esentative e agevolative in materia tributaria non sono suscettibili di interpretazione analogica.
Infine, considerato che l’articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001, distingue i Comuni dalle Amministrazioni dello Stato, deve escludersi che detti enti siano esonerati dal pagamento del tributo.