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Quando il notaio rischia l’accusa di peculato

lentepubblica.it • 27 Agosto 2015

peculatoSe il notaio non versa tempestivamente l’imposta principale dovuta rischia di essere accusato di peculato, in quanto reato “istantaneo”. La disciplina amministrativa della “procedura di adempimento unico” e la normativa penale di cui all’articolo 314 cp non possono ritenersi sovrapponibili.

 

Il principio è stato affermato di recente dalla Corte di cassazione, con la sentenza 33879 del 31 luglio 2015, nel corso della trattazione di un caso nel quale il pubblico ufficiale ha omesso di versare tempestivamente all’erario le somme che gli erano state consegnate, a titolo d’imposta, dai propri clienti in occasione della stipula di alcuni atti di compravendita immobiliare.

 

Il caso concreto si caratterizza per il fatto che l’imposta di registro è stata liquidata dal notaio in modo volutamente irregolare e inferiore al dovuto e che, solo successivamente e dopo l’arrivo dell’avviso di liquidazione notificato dall’ufficio oltre il sessantesimo giorno dalla data di registrazione telematica, lo stesso pubblico ufficiale ha provveduto a versare integralmente all’Agenzia delle Entrate.

 

La Corte suprema, mediante richiamo a pregressa giurisprudenza, ha concluso che il comportamento del notaio, in questa vicenda, sostanzia il reato di peculato (ex articolo 314 cp).

 

La pronuncia, tuttavia, merita un momento di particolare attenzione per il fatto che, per la prima volta, il giudice penale ha vagliato il rapporto esistente fra la procedura amministrativa, prevista dal Dlgs 463/1997, articoli 3-bis e 3-ter, e la richiamata ipotesi delittuosa di cui all’articolo 314.

 

In altri termini, la Cassazione ha dovuto valutare se le due normative fossero sovrapponibili e se, in quanto tali, la prima disciplina – avente natura speciale – potesse ritenersi prevalente sulla seconda di carattere generale.

 

La necessità di svolgere tale attività comparativa è sorta, per la Corte, su impulso del notaio ricorrente che ha mosso due eccezioni.

 

Una prima, secondo cui, nella soluzione della controversia da parte dei giudici di merito, avrebbe dovuto prioritariamente darsi rilievo al Dlgs 463/1997, articoli 3-bis, 3-ter e 3-quater, introdotti dal Dlgs 9/2000, i quali disciplinano la “procedura di adempimento unico informatico” riguardante la registrazione telematica degli atti e le nuove modalità di pagamento dell’imposta di registro.

 

Il ricorrente, infatti, ha sostenuto che il nuovo sistema telematico di liquidazione delle imposte da parte dei notai, che si fonda su un’interazione diretta, secondo modalità telematiche, tra Agenzia delle Entrate e professionisti, consentirebbe a questa ultima di richiedere il pagamento integrativo delle imposte dovute, anche quando il soggetto obbligato abbia provveduto a liquidarle in maniera inesatta, sia per colpa (anche grave) sia per dolo.

 

Secondo tale ricostruzione, la sanzione penale di cui all’articolo 314 sarebbe scattata – non immediatamente – ma unicamente a seguito del mancato pagamento della maggior imposta richiesta dall’Agenzia delle Entrate.

 

Conseguentemente, solo a quel punto, si sarebbe manifestata in maniera inequivocabile la volontà del notaio di non adempiere all’obbligazione tributaria e di voler trattenere per sé le somme versategli a detto titolo dai clienti. Inoltre, in caso di ritardo dell’Amministrazione tributaria nel procedere alla corretta liquidazione dell’imposta, rispetto ai termini di legge, l’indugio del notaio ricorrente non avrebbe potuto assumere rilievo al fine di trasformare l’illecito amministrativo-tributario in comportamento penalmente rilevante.

 

La seconda, per la quale, nel caso concreto, sussisterebbe un concorso tra fattispecie penale e norma amministrativa, risolvibile mediante l’applicazione del principio di specialità (articolo 9, legge 689/1981), trattandosi dello stesso fatto punito da distinte previsioni normative (concorso eterogeneo di norme), ancorché poste a presidio di interessi giuridici diversi.

 

Conclusivamente, poiché la condotta descritta dalla norma penale che disciplina il peculato (consistente, nell’ipotesi in esame, nell’appropriazione del denaro destinato al pagamento dei tributi) si presenterebbe del tutto sovrapponibile a quella del notaio prevista dalla nuova disciplina dell’adempimento unico informatico, sarebbe stata scontata l’applicazione del principio di specialità contemplato nel primo comma del richiamato articolo 9.

 

Pronunciandosi sul ricorso del pubblico ufficiale, la Corte suprema ha affermato che la procedura amministrativa, prevista dal Dlgs 463/1997, articoli 3-bis e 3-ter, disciplina una condotta del tutto distinta da quella integrante il delitto di peculato e che, pertanto, le sanzioni da essa previste possono ben concorrere con quella stabilita dalla norma di carattere penale.

 

Pertanto, la Corte ha mostrato di non condividere la tesi della sovrapponibilità delle condotte sanzionate in via amministrativa e penale, escludendo l’applicabilità del principio di specialità di cui all’articolo 9 della legge 689/1981.

 

Inoltre, qualificando il reato di peculato di tipo istantaneo, vale a dire che si consuma nel momento in cui l’agente si appropria della cosa mobile o del denaro della Pa, di cui ha il possesso per ragione del suo ufficio o dà ad essi una diversa destinazione, ha rigettato l’assunto secondo cui l’interversione del possesso del denaro pubblico non si verificherebbe immediatamente, ma soltanto quando il notaio non versi, entro il termine previsto, l’importo della maggior somma dovuta a titolo d’imposta successivamente liquidato, mediante procedura di correzione per via telematica, dall’Agenzia delle Entrate (sulla qualificazione del reato istantaneo, cfr Cassazione, sentenze nn. 12141/2008, 19759/2008, 15108/2003, 3021/1990, 7179/1982, 43279/2009 e 1256/2003).

 

Infine, la suprema Corte – mediante un richiamo ad altre proprie sentenze emesse con riguardo alla oramai soppressa Invim (tributo dovuto dal venditore che lo versava nelle mani del notaio rogante perché, a sua volta, lo versasse all’erario) – ha concluso che, alla luce dei principi già affermati nella propria giurisprudenza, la condotta ascritta al notaio che non ha immediatamente versato all’Agenzia delle Entrate l’importo integrale delle imposte affidategli dai clienti, determinate correttamente ma autoliquidate per via telematica in misura volutamente inferiore al dovuto, integra il reato di cui all’articolo 314 del codice penale. Da quel preciso momento, infatti, egli avrebbe disposto del denaro indebitamente, ancorché temporaneamente, trattenuto uti dominus, lucrando gli interessi bancari maturati sulle somme non versate.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Salvatore Di Giglia
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