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Rafforzati i meccanismi di controllo corruzione sulle società partecipate

lentepubblica.it • 1 Gennaio 2015

Dal Tavolo congiunto MEF – A.N.AC. i nuovi indirizzi per rafforzare dal 2015 i meccanismi di prevenzione della corruzione e di garanzia di assoluta trasparenza, nonché per chiarire le modalità di applicazione delle norme di settore.

 

1. Ambito di applicazione

Al fine di perimetrare l’ambito applicativo della normativa anticorruzione e di quella in tema di trasparenza, vanno distinte – ferma una più approfondita valutazione per i soggetti con azioni quotate nei mercati regolamentati, con il coinvolgimento anche della Consob – le società direttamente o indirettamente controllate, individuate ai sensi dell’art. 2359, comma 1, numeri 1 e 2, del codice civile, e quelle solo partecipate, in cui la partecipazione pubblica non è idonea a determinare una situazione di controllo.

Dal novero delle società controllate vanno tuttavia escluse quelle di cui al n. 3 del comma 1 dell’art. 2359, atteso che lo stesso fa riferimento ai rapporti intersocietari e non a quelli tra pubbliche amministrazioni e società, cui invece ha riguardo la disciplina di prevenzione della corruzione.
La distinzione proposta non ha carattere meramente formale, bensì, come si osserverà, conforma in modo differenziato l’applicazione della normativa anticorruzione, in ragione del diverso grado di “coinvolgimento” del Ministero in qualità di azionista all’interno delle due diverse tipologie di società.
Va in ogni caso ribadito che tutte le società, controllate e partecipate, ove non abbiano adottato il modello previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001, sono comunque tenute alla sua adozione.
Depone in tal senso il tenore letterale dell’art. 1 del predetto decreto (che dispone espressamente che le sue disposizioni non si applicano solo “…allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”), e nonché l’orientamento seguito dalla Suprema Corte di Cassazione.

 

2. Società controllate: integrazione del modello di prevenzione di cui al d.lgs.8 giugno 2001, n.231

L’interesse alla prevenzione della corruzione e dell’illegalità va perseguito all’interno di tutte le società controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Al riguardo occorre prendere le mosse dall’art. 1, comma 60, legge 6 novembre 2012, n. 190, che individua tra i destinatari degli obblighi previsti dalla predetta legge anche i soggetti di diritto privato sottoposti al controllo da parte delle amministrazioni territoriali.

Il Tavolo promuove un’interpretazione costituzionalmente orientata della predetta disposizione, che ne consente l’applicazione anche alle società nazionali controllate dalle amministrazioni centrali, nei termini sopra definiti, atteso che le stesse, in ragione del penetrante controllo esercitato dal Ministero (o da altra pubblica amministrazione), sono esposte ai medesimi rischi che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione in relazione alle pubbliche amministrazioni.

Pertanto, le misure contemplate dalla legge n. 190 del 2012 devono trovare applicazione per le società controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze o da altre pubbliche amministrazioni, anche nei casi in cui le stesse abbiano già adottato il modello previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001: invero, l’ambito di applicazione dei due interventi normativi sopra menzionati non coincide. Difatti, mentre le norme contenute nel d.lgs. n. 231 del 2001 sono finalizzate alla prevenzione di reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società, la legge n. 190 del 2012 persegue la finalità di prevenire condotte volte a procurare vantaggi indebiti al privato corruttore in danno dell’ente (nel caso di specie, della società controllata).
Ne consegue che le società controllate, che abbiano già approvato un modello di prevenzione dei reati della specie di quello disciplinato dal d.lgs. n. 231 del 2001, devono integrarlo con l’adozione delle misure idonee a prevenire anche altri fenomeni di corruzione e illegalità all’interno delle società, come indicati dalla l. n. 190 del 2012.

 

2.1. Responsabile della prevenzione della corruzione nelle società controllate

L’organo di governo della società provvede alla nomina del responsabile della prevenzione della corruzione (di seguito RPC), il quale elabora le misure integrative sopra indicate, che costituiscono il “Piano di prevenzione della corruzione” della società, e le sottopone al vertice amministrativo (consiglio di amministrazione o altro organocon funzioni equivalenti) per l’adozione.

Al fine di garantire che il sistema di prevenzione non si traduca in un mero adempimento formale eche sia, piuttosto, calibrato e dettagliato come un modello organizzativo vero e proprio, in grado di rispecchiare le specificità dell’ente di riferimento, il Responsabile dovrà coincidere (in applicazione delle disposizioni della legge n. 190 del 2012, che prevede che il RPC sia un “dirigente amministrativo”), con uno dei dirigenti della società e dunque non con un soggetto esterno come l’organismo di vigilanza o altro organo di controllo a ciò esclusivamente deputato.

Gli organi di governo della società dovranno, quindi, nominare come RPC un dirigente in servizio presso la società e dovranno ad esso attribuire, anche eventualmente con le necessarie modifiche statutarie e regolamentari, funzioni e poteri idonei e congrui per lo svolgimento del ruolo, quale previsto dalla legge 190 del 2012, con piena autonomia ed effettività.

Il RPC è, pertanto, colui a cui spetta predisporre e proporre il “Piano di prevenzione della corruzione” della società per l’adozione da parte dell’organo di governo della società. Al Responsabile devono, poi, essere riconosciuti poteri di vigilanza sull’attuazione effettiva delle misure e di proposta delle integrazioni e modificazioni ritenute più opportune.

Nelle sole ipotesi in cui la società sia priva di dirigenti o questi siano in numero così limitato da poter svolgere esclusivamente compiti gestionali nelle aree a rischio corruttivo, il responsabile potrà essere individuato in un funzionario che garantisca le idonee competenze. In questo caso, il Consiglio di amministrazione o, in sua mancanza, l’amministratore sono tenuti ad esercitare una funzione di vigilanza stringente e periodica sulle attività del funzionario. In ultima istanza, e solo in casi eccezionali, il responsabile potrà coincidere con un amministratore purché privo di deleghe gestionali.

In considerazione della stretta connessione tra le misure adottate ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 e il “piano di prevenzione della corruzione”, le funzioni del RPC dovranno essere svolte in costante coordinamento con quelle dell’organismo di vigilanza nominato ai sensi del citato decreto legislativo.
Dall’espletamento dell’incarico non può derivare l’attribuzione di alcun compenso aggiuntivo, fatto salvo il solo riconoscimento, laddove sia configurabile, di eventuali retribuzioni di risultato legate all’effettivo conseguimento di precisi obiettivi predeterminati in sede di previsioni del piano anticorruzione, in coerenza con i suoi contenuti, fermi restando i tetti retributivi normativamente previsti ed i limiti complessivi alla spesa di personale.

Quanto alle previsioni di cui ai commi 12 e 14 della l. n. 190 del 2012, correlate alla commissione di reati di corruzione odi ripetute violazioni del piano, esse ricadono, in primo luogo, in termini di responsabilità disciplinare, sul RPC.

In relazione agli organi di amministrazione, ferme restando le responsabilità societarie previste dal d.lgs. n. 231 del 2001, nonché l’eventuale azione ex art. 2392 c.c. per gli eventuali danni cagionati alla società, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in qualità di azionista, promuoverà l’inserimento negli statuti societari di meccanismi sanzionatori a carico degli amministratori che non abbiano adempiuto agli obblighi previsti dalla normativa anticorruzione.

Le amministrazioni controllanti, infine, dovranno adottare nei propri piani di prevenzione della corruzione tutte le misure, anche organizzative, di vigilanza sull’effettiva adozione del piano e sulla nomina del RPC da parte delle società controllate.

 

3. Società partecipate

Per le società partecipate si ritiene sufficiente l’adozione del modello previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001, purché integrato, limitatamente alle attività di pubblico interesse eventualmente svolte, con l’adozione di misure idonee a prevenire ulteriori condotte criminose in danno della pubblica amministrazione, nel rispetto dei principi contemplati dalla normativa anticorruzione.
La predisposizione di tali misure non implica l’elaborazione di un “Piano di prevenzione della corruzione” da parte della società, che resta soggetta al regime di responsabilità previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001.

 

4. Trasparenza

Anche al fine di perimetrare l’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, è necessario differenziare tra società controllate e società solo partecipate negli stessi termini rappresentati al precedente punto 1.

Alla luce del novellato articolo 11 del d.lgs. n. 33 del 2013, alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, come sopra individuate, si applica per intero la disciplina della trasparenza, ad integrazione di quanto già previsto nella legge n. 190 del 2012.

L’art. 11, comma 2, dispone, infatti, che la stessa disciplina applicabile alle pubbliche amministrazioni (vale a dire le disposizioni dell’intero d.lgs. n. 33) sia applicata anche agli enti pubblici (lettera a) e agli enti di diritto privato in controllo pubblico (lettera b), ovvero le società controllate, “limitatamente alle attività di pubblico interesse”.

Pertanto, in relazione alle società in controllo pubblico, restano escluse dall’applicazione della disciplina della trasparenza solo le attività che non siano qualificabili di pubblico interesse, mentre devono ritenersi soggette sia le restanti attività sia l’organizzazione, pur con i necessari adattamenti discendenti dalla natura privatistica delle società stesse.

Per le società partecipate non controllate, invece, ai sensi dell’art. 11, comma 3, trovano applicazione le sole regole in tema di trasparenza contenute nei commi da 15 a 33 dell’art. 1, legge n. 190 del 2012, limitatamente “alle attività di pubblico interesse”.

Ne consegue che dette società non sono sottoposte agli obblighi di pubblicità in relazione alla propria organizzazione ma solo ad applicare le regole dettate dalla legge anticorruzione per quella parte della propria attività che sia da ritenere di pubblico interesse.

 

 

FONTI: MEF – Ministero dell’Economia e delle Finanze; ANAC – Autorità Nazionale Anti Corruzione

 

 

 

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