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Prescrizioni ravvicinate di frodi fiscali: il parere dell’UE

lentepubblica.it • 9 Settembre 2015

frode fiscaleSecondo i giudici comunitari, la normativa italiana in tema di prescrizione dei reati può risolversi in un ostacolo all’efficace lotta contro le frodi in materia di Iva, in modo incompatibile con il diritto dell’Unione.

 

I reati contestati

 

Al centro della controversia vi era un procedimento penale a carico di alcuni soggetti, imputati di aver costituito e organizzato un’associazione per delinquere, allo scopo di commettere vari delitti in materia di Iva, attraverso “frodi carosello”.

 

Le operazioni contestate avrebbero consentito a una società nazionale di disporre di prodotti (bottiglie di champagne), da poter rivendere ai propri clienti, a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato, con ciò falsandolo. La società avrebbe ricevuto fatture, emesse da altre compagini interposte, per operazioni inesistenti. Queste ultime società avrebbero, tuttavia, omesso di presentare la dichiarazione annuale Iva o, pur avendola presentata, non avrebbero comunque provveduto ai corrispondenti versamenti d’imposta. La prima società avrebbe, invece, annotato nella propria contabilità le fatture emesse dalle suddette interposte, detraendo indebitamente l’Iva in esse riportata e, di conseguenza, avrebbe presentato dichiarazioni annuali Iva fraudolente.

 

L’ordinanza del tribunale di Cuneo

 

Il tribunale rimettente precisa che i reati contestati agli imputati sono puniti, ai sensi degli articoli 2 e 8 del Dlgs 74/2000, con la reclusione fino a sei anni. Il delitto di associazione per delinquere, previsto dall’articolo 416 cp, di cui gli imputati potrebbero, altresì, essere dichiarati colpevoli, sarebbe invece punito con la reclusione fino a sette anni per i promotori dell’associazione e fino a cinque anni per i semplici partecipanti. Ne consegue che, per i promotori dell’associazione per delinquere, il termine di prescrizione è di sette anni, mentre è di sei anni per tutti gli altri. L’ultimo atto interruttivo del termine sarebbe stato il decreto di fissazione dell’udienza preliminare.

 

Ebbene, nonostante l’interruzione della prescrizione, il termine della stessa non potrebbe essere prorogato, in applicazione del combinato disposto degli articoli 160, ultimo comma e 161 cp, oltre i sette anni e sei mesi o, per i promotori dell’associazione per delinquere, oltre gli otto anni e nove mesi, a decorrere dalla data di consumazione dei reati. Secondo il giudice del rinvio, gli imputati, accusati di aver commesso una frode in materia di Iva per vari milioni di euro, potrebbero beneficiare di un’impunità di fatto dovuta allo scadere del termine di prescrizione.

 

La durata del procedimento, cumulati tutti i gradi di giudizio, sarebbe, infatti, tale che, in casi complessi di questo tipo, l’impunità di fatto costituirebbe in Italia non un’evenienza rara, ma la norma. Peraltro, sarebbe spesso impossibile per l’Amministrazione tributaria italiana recuperare l’importo di imposte oggetto del reato considerato.

 

Le questioni pregiudiziali

 

Quindi, la sospensione del procedimento e la sottoposizione alla Corte Ue di quattro questioni pregiudiziali, di cui solo la terza – che riportiamo di seguito – è oggetto di specifica valutazione:

 

– se, modificando con legge 251/2005 l’articolo 160, ultimo comma, del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, creando un’ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano la direttiva comunitaria – lo Stato italiano abbia indebitamente aggiunto un’esenzione ulteriore rispetto a quelle tassativamente contemplate dall’articolo 158 della direttiva Iva.

 

Prescrizione e repressione delle frodi Iva

 

La questione fondamentale è se la normativa nazionale richiamata si risolva in un ostacolo all’efficace lotta contro la frode in materia di Iva in Italia, in modo incompatibile con la direttiva Iva nonché, più in generale, con il diritto dell’Unione.

 

Infatti, osserva la Corte, se è pur vero che gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, al fine di assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall’Iva e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, conformemente alle disposizioni della direttiva Iva e all’articolo 325 del Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), possono, tuttavia, essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi, come la costituzione di un’associazione per delinquere allo scopo di commettere delitti in materia di Iva nonché una frode nella stessa materia per vari milioni di euro.

 

Ebbene, continua la Corte, dall’ordinanza di rinvio emerge che le disposizioni nazionali di cui trattasi, introducendo una regola in base alla quale, in caso di interruzione della prescrizione per una delle cause menzionate all’articolo 160 cp, il termine di prescrizione non può essere in alcun caso prolungato di oltre un quarto della sua durata iniziale, hanno per conseguenza, date la complessità e la lunghezza dei procedimenti penali che conducono all’adozione di una sentenza definitiva, di neutralizzare l’effetto temporale di una causa di interruzione della prescrizione.

 

In questo senso, ricordano gli eurogiudici, qualora il magistrato nazionale giungesse alla conclusione che le disposizioni di cui trattasi non soddisfano gli obblighi del diritto dell’Unione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all’Iva, detto giudice sarebbe tenuto a disapplicare, all’occorrenza, tali disposizioni.

 

E i diritti degli imputati?

 

Gli imputati, però, potrebbero vedersi infliggere sanzioni alle quali, con ogni probabilità, sarebbero sfuggiti in caso di applicazione delle suddette disposizioni di diritto nazionale.

 

Su tale argomento, i giudici comunitari osservano che la disapplicazione delle disposizioni nazionali avrebbe soltanto per effetto di non abbreviare il termine di prescrizione generale nell’ambito di un procedimento penale pendente, di consentire un effettivo perseguimento dei fatti incriminati nonché di assicurare, all’occorrenza, la parità di trattamento tra le sanzioni volte a tutelare, rispettivamente, gli interessi finanziari dell’Unione e quelli della Repubblica italiana.

 

Una disapplicazione del diritto nazionale siffatta, pertanto, non violerebbe i diritti degli imputati, garantiti dall’articolo 49 della Carta, considerato che i fatti loro contestati nel procedimento principale integravano, alla data della loro commissione, gli stessi reati ed erano passibili delle stesse sanzioni penali attualmente previste.

 

Né – conclude la Corte – sussiste violazione dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, visto che tale disposizione non può essere interpretata come ostacolo a un allungamento dei termini di prescrizione quando i fatti addebitati non si siano ancora prescritti.

 

Conclusioni

 

Una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto degli articoli 160, ultimo comma, e 161 del codice penale – normativa che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di Iva comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale – è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, Tfue nell’ipotesi in cui, detta normativa nazionale, impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare. Quest’ultimo, infatti, è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano l’effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli, appunto, dall’articolo 325.

 

E ancora, un regime della prescrizione applicabile a reati commessi in materia di imposta sul valore aggiunto, come quello previsto dal combinato disposto degli articoli 160, ultimo comma, e 161 del codice penale, non può essere valutato alla luce degli articoli 101, 107 e 119 Tfue.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Martino Verrengia
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