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Rimborso di Eccedenza IVA: sì agli interessi di mora

lentepubblica.it • 7 Luglio 2017

rimborso eccedenza IVASul rimborso di eccedenza Iva sì agli interessi di mora. È la conclusione a cui sono pervenuti gli eurogiudici nell’ambito di una controversia che vede protagonisti da un lato una società ungherese e dall’altro l’Amministrazione tributaria.


 

La domanda di pronuncia pregiudiziale, nella fattispecie in esame, verte sull’interpretazione dell’articolo 183 della direttiva 2006/112/CE Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società ungherese all’Amministrazione tributaria, in merito al versamento degli interessi di mora sul rimborso dell’eccedenza d’imposta.

 

La società protagonista del contenzioso

 

Tale società opera nel settore del commercio dei cereali ed ha presentato all’amministrazione tributaria una domanda di rimborso di un’eccedenza di Iva a titolo di Iva assolta a monte. In seguito a tale domanda, l’Amministrazione tributaria ha avviato una procedura di controllo della regolarità di tale domanda. L’Amministrazione tributaria ha versato alla società un importo a titolo di parziale rimborso dell’eccedenza di Iva, respingendo la domanda in relazione agli interessi di mora sulla base del fatto che alla società era stata inflitta un’ammenda per aver ostacolato il controllo della regolarità della domanda di rimborso e che, quindi, il termine per rimborsare l’eccedenza di Iva e, se del caso, gli interessi di mora dovevano essere calcolati a decorrere dal giorno della notifica del verbale che riprendeva le conclusioni di tale controllo.

 

Il ricorso alla Corte Ue 

 

Tutto ciò premesso, la questione approdava dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che sottoponeva al vaglio pregiudiziale della Corte di giustizia alcune questioni con cui chiede, in sostanza, se il diritto comunitario debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, in base alla quale quando l’Amministrazione tributaria avvia una procedura di verifica fiscale ed è irrogata un’ammenda a un soggetto passivo per mancata cooperazione, la data del rimborso dell’eccedenza di IVA può essere differita sino alla notifica, a tale soggetto passivo, del verbale della suddetta verifica e può essere negato il versamento degli interessi di mora, anche allorché la durata della procedura di verifica fiscale è eccessiva e non è interamente imputabile alla condotta del soggetto passivo.

 

Il ragionamento degli eurogiudici

 

La Corte Ue osserva che benchè l’articolo 183 della direttiva Iva non preveda l’obbligo di versare interessi sull’eccedenza di Iva a credito né il ‘dies a quo’ di decorrenza degli interessi stessi, tale circostanza non consente, di per sé, di concludere che la medesima disposizione debba essere interpretata nel senso che le modalità stabilite dagli Stati membri ai fini del rimborso dell’eccedenza di Iva siano dispensate da qualsiasi controllo sul diritto comunitario. La Corte ha precisato che le modalità di rimborso dell’eccedenza di Iva attuate da uno Stato membro non devono ledere il principio della neutralità fiscale gravando il soggetto passivo, in tutto o in parte, del peso di tale imposta. In particolare, tali modalità devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza di Iva, il che implica che il rimborso sia effettuato entro un termine ragionevole e che, in ogni caso, il sistema di rimborso adottato non debba comportare alcun rischio finanziario per il soggetto passivo.  Tale termine può essere prorogato, in linea di principio, affinché sia svolta una verifica fiscale, senza che il termine così prorogato debba essere considerato irragionevole, sempreché la proroga non vada al di là di quanto sia necessario ai fini della proficua conclusione della procedura di verifica.

 

Quando il rimborso al soggetto passivo dell’eccedenza di Iva ha luogo al di là di un termine ragionevole, il principio della neutralità del sistema fiscale dell’Iva richiede che le perdite finanziarie così generate, a svantaggio del soggetto passivo, dall’indisponibilità delle somme di denaro di cui si tratta siano compensate dal pagamento d’interessi di mora. Risulta inoltre dalla giurisprudenza della Corte che un regime di calcolo degli interessi che non assuma come ‘dies a quo’ il giorno in cui l’eccedenza dell’Iva avrebbe dovuto essere normalmente rimborsata ai sensi della direttiva Iva risulta, in linea di principio, contrario alle esigenze dettate dall’articolo 183 della direttiva medesima.

 

I rischi di una normativa diversa

 

Inoltre, va rilevato che una normativa che riconosce alle autorità tributarie la facoltà di avviare una verifica fiscale in qualsiasi momento, incluso in un momento vicino alla scadenza del rimborso dell’eccedenza di Iva, consentendo in tal modo di prorogare in modo significativo il termine per effettuare quest’ultimo, non solo espone il soggetto passivo a svantaggi pecuniari, ma non consente a quest’ultimo di prevedere la data a decorrere dalla quale potrà disporre dei fondi corrispondenti all’eccedenza di Iva, il che costituisce per il medesimo un onere supplementare. Nel caso di specie, se è pur vero che il termine di rimborso dell’eccedenza di Iva può essere prorogato sino alla data di notifica al soggetto passivo del verbale che chiude la procedura di verifica fiscale della quale esso era oggetto, ciò si verifica a condizione che la suddetta procedura non determini la proroga di tale termine al di là di quanto è necessario ai fini della proficua conclusione di tale procedura. Nell’ipotesi in cui la durata di quest’ultima sia eccessiva, il soggetto passivo non può essere privato degli interessi di mora.

 

Il ruolo della condotta del soggetto passivo

 

Poiché il giudice ‘a quo’ si interroga sull’incidenza della condotta del soggetto passivo, la cui carenza di diligenza nella procedura di verifica fiscale è stata sanzionata con ammende, si deve rilevare che è vero che non può essere ammessa una situazione in cui un soggetto passivo che, rifiutando di collaborare con l’Amministrazione fiscale e ostacolando, in tal modo, lo svolgimento della procedura di verifica, abbia causato il ritardo del rimborso dell’eccedenza di Iva, possa chiedere il versamento di interessi dovuti a tale ritardo. Tuttavia, non possono essere considerate compatibili con le esigenze derivanti dal principio della neutralità fiscale le normative o prassi nazionali in base alle quali il mero fatto che il soggetto passivo sia stato condannato a un’ammenda che sanzioni la sua carenza di diligenza nella verifica fiscale della quale era oggetto consenta all’amministrazione tributaria di prorogare tale verifica per un periodo non giustificato da tale carenza di diligenza, senza dovergli corrispondere interessi di mora.

 

Gli interessi di mora e il dies a quo

 

Pertanto, va  valutata, al fine di determinare se sono dovuti interessi di mora e, se del caso, il ‘dies a quo’ del diritto ai suddetti interessi, la parte della durata della procedura di verifica fiscale che è imputabile alla condotta del soggetto passivo. La società rileva che l’Amministrazione tributaria ha avviato la procedura di controllo della legittimità della sua domanda di rimborso dell’eccedenza di Iva in un momento prossimo allo scadere del termine previsto dalla normativa per il predetto rimborso. Tale società osserva che l’amministrazione tributaria le ha inflitto una prima ammenda 41 giorni dopo il deposito della sua dichiarazione Iva, mentre il primo rimborso parziale è stato effettuato 755 giorni dopo il deposito della suddetta dichiarazione e che la notifica del verbale contenente le constatazioni della verifica fiscale svolta è avvenuta 539 giorni dopo l’ultima richiesta dell’amministrazione tributaria.

 

L’analisi della normativa ungherese 

 

Il giudice del rinvio espone che la normativa ungherese non prevede che si prenda in considerazione, onde valutare se sono dovuti interessi di mora, l’effettiva incidenza, sulla durata della procedura di verifica fiscale, della condotta del soggetto passivo cui è stata irrogata un’ammenda. Inoltre indica altresì che l’Amministrazione tributaria può proseguire tale procedura per un lungo periodo, senza essere tenuta a versare interessi di mora al soggetto passivo. In caso di avvio della procedura di controllo e di irrogazione di un’ammenda a un soggetto passivo nel corso di tale procedura, risulta che la normativa nazionale può avere l’effetto di privare quest’ultimo dei fondi corrispondenti all’eccedenza di Iva per un lungo periodo e di impedirgli di prevedere la data a decorrere dalla quale potrà disporre di tali fondi, nonché di negargli il diritto agli interessi di mora. Tale normativa non è conforme alle esigenze derivanti dal principio della neutralità fiscale, sulla base delle quali l’eccedenza di Iva deve essere rimborsata entro un termine ragionevole e, se così non avviene, le perdite pecuniarie così generate a danno del soggetto passivo devono essere compensate dal pagamento di interessi di mora.

 

I giudici nazionali e la normativa interna

 

Per quanto riguarda gli obblighi del giudice del rinvio, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali sono tenuti ad interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288, terzo comma, TFUE. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto consente ai giudici nazionali di assicurare la piena efficacia del diritto comunitario  quando risolvono le controversie ad essi sottoposte.

 

Secondo consolidata giurisprudenza, il giudice nazionale, essendo incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme del diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

 

Le conclusioni della Corte di giustizia

 

Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alle seguenti conclusioni: il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, in base alla quale, quando l’amministrazione tributaria avvia una procedura di verifica fiscale ed è irrogata un’ammenda a un soggetto passivo per mancata cooperazione, la data del rimborso dell’eccedenza di imposta sul valore aggiunto può essere differita sino alla notifica, a tale soggetto passivo, del verbale della suddetta verifica e può essere negato il versamento degli interessi di mora, anche allorché la durata della procedura di verifica fiscale è eccessiva e non è interamente imputabile alla condotta del soggetto passivo.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Marcello Maiorino
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