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Scontrini e buoni pasto discordanti. Legittimo il recupero dell’imposta

lentepubblica.it • 24 Gennaio 2014

Gli acquisti effettuati utilizzando i ticket mensa devono essere registrati con annotazioni specifiche in modo da poter “monetizzare” esattamente il valore del relativo incasso.

Con ordinanza 347 del 10 gennaio, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, conferma il recupero dell’Iva nel caso in cui il supermercato sostiene di aver contabilizzato i ticket mensa usati dai clienti, ma dalla chiusura giornaliera della cassa non risulta una corrispondenza sugli scontrini fiscali.

Il fatto
Lo storico di lite riguarda un avviso di accertamento unificato Irpeg, Irap e Iva a carico di una società, conseguente a una verifica della Guardia di finanza, dalla cui documentazione risultava la mancata annotazione di trenta fatture relative ai rimborsi del controvalore di altrettanti buoni pasto usati dai clienti per acquistare prodotti in una catena di supermercati dalla stessa gestiti.

Rigettato il ricorso in primo grado, il gravame della Srl veniva accolto in appello, spiegando la Commissione tributaria regionale che lo scontrino fiscale rilasciato alla clientela dalla contribuente riportava sia le somme per contanti (con la dicitura pagamenti per contanti) sia le somme corrispondenti al controvalore dei buoni (portanti la scritta “pagamenti vari”). Quindi, nonostante mancasse qualsiasi traccia di registrazione delle fatture rinvenute, sugli incassi corrispondenti ai buoni pasto non ci sarebbe stata per la società alcuna evasione di imposta.

L’ente impositore ha adito il giudice di legittimità, censurando la sentenza impugnata per vizi di motivazione, in quanto non si era in presenza di una semplice irregolarità di forma, atteso che dal verbale di constatazione risultava inequivocabilmente l’omessa annotazione del controvalore dei buoni pasto sulle scritture contabili in uso della società (registro fatture emesse e dei corrispettivi).
Sostanzialmente, quindi, la questione concerne il fatto che la Commissione del riesame ha inopinatamente ritenuto provata la contabilizzazione degli inerenti incassi, senza però adeguata esplicitazione degli elementi che comprovavano le mere illazioni difensive della contribuente.

Motivi della decisione
La Corte suprema accoglie il ricorso, confermando la contestazione dell’Amministrazione finanziaria della mancata contabilizzazione dei buoni pasto. Questo accade, precisa l’ordinanza 347/2014, quando in effetti non venga riportato l’esatto valore in denaro di ciascun titolo, considerato che una differenza costituisce prova di incassi non documentati e non contabilizzati.

Nello specifico, il giudice di legittimità ha ravvisato nella sentenza opposta (come aveva esattamente “intuito” il Collegio giudicante di prima istanza) i sintomi di una possibile decisione ingiusta, posto che la Ctr ha valutato “negligentemente” i dati istruttori formati dall’ente impositore, con una superficiale acquisizione delle risultanze di causa, in evidente spregio del principio dell’onere della prova exarticolo 2697 codice civile.

Sicché, a fronte di una prova certa offerta dall’Amministrazione finanziaria (costituita dall’esame in sede di accesso dei registri dei corrispettivi dei singoli punti vendita del supermercato dai quali non è risultata alcuna annotazione di quanto contestato), viene valorizzata dalla Commissione regionale una mera asserzione indiziaria, nonostante la stessa società, ponendosi in consapevole contrasto con le proprie scritture contabili, affermasse sia “l’esistenza di una corrispondenza specifica sugli scontrini fiscali di chiusura giornaliera di cassa” sia che sul registro dei corrispettivi risultavano effettivamente annotati gli incassi corrispondenti alle fatture ricevute dalle società fornitrici, emesse il mese successivo a quello di accettazione, come corrispettivo dei buoni pasto.

Va ricordato in proposito che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità (cfrex plurimis, Cassazione, sentenze 326/1996, 7635/2003, 6064/2008, 23296/2010, 3370/2012 e 429/2013), ricorre il vizio di omessa o insufficiente motivazione qualora il giudice di merito non abbia tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte degli elementi dimostrativi addotti in giudizio e indicati nel ricorso con autosufficiente ricostruzione, e si sia limitato ad assumere l’insussistenza della prova, senza compiere un’analitica considerazione delle risultanze processuali in atti.

Deve rimanere fermo, però, che la verifica compiuta al riguardo può concernere la legittimità della base del convincimento espresso dal giudice di merito e non questo convincimento in sé stesso, come tale incensurabile. È in questione, cioè, non la giustizia o meno della decisione, ma la presenza di difetti sintomatici di una possibile decisione ingiusta, che tali possono ritenersi solo se sussiste un’adeguata incidenza causale dell’errore oggetto di possibile rilievo in Cassazione.
Incidenza causale verificatasi puntualmente nel caso di specie.

FONTE: Fisco Oggi (giornale on line dell’Agenzia delle Entrate)

AUTORE: Carmen Miglino

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