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Voluntary Disclosure: non sana l’appropriazione indebita

lentepubblica.it • 25 Gennaio 2018

proceduraLa procedura della voluntary non sana l’appropriazione indebita.  È lo stesso legislatore ad aver limitato ai soli reati “coperti” le cause di esclusione della punibilità, legate alla collaborazione volontaria, estromettendo tutti gli altri delitti.


La vicenda trae origine dal provvedimento di sequestro preventivo di quote sociali – quali beni che servirono o furono destinati a commettere il reato – acquistate da una società estera, per agevolare il trasferimento di ingenti risorse economiche dall’estero verso i conti personali degli imputati e a dare una veste formalmente legale a tali disponibilità, rimettendole nel circuito economico dopo averle sottratte al pagamento delle imposte.

 

Con ordinanza, il tribunale del riesame rigettava l’appello cautelare presentato avverso il rigetto dell’istanza di revoca del provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca ex articolo 240, comma 1, cp, disposto sulle quote sociali di proprietà degli indagati. In seguito a ciò gli imputati dei reati di appropriazione indebita e dichiarazione infedele proponevano ricorso per cassazione, deducendo il vizio di motivazione e la violazione degli articoli 321 cpp e 240, comma 1, cp.

 

I ricorrenti sostenevano che:

 

 

  1. il tribunale aveva erroneamente negato la revoca del sequestro sul presupposto che le somme oggetto di riciclaggio non sarebbero costituite esclusivamente dai proventi oggetto della voluntary disclosure, ai sensi della legge 186/2014, ma atterrebbero anche al profitto del reato di appropriazione indebita, del cui fumus il tribunale non si occupava in quanto deciso già in Cassazione, attraverso separato giudizio
  2. il tribunale aveva erroneamente ricostruito i fatti di causa; il rinvio a giudizio era avvenuto in un momento successivo alla definizione della procedura di voluntary disclosure, che avrebbe comunque regolarizzato – sotto il profilo tributario – il rientro dei capitali esteri, abbattendo, di fatto, le ragioni che avevano determinato il sequestro; la provvista utilizzata per l’acquisto delle quote era stata costituita in data anteriore a quella in cui si sarebbe consumato il reato di appropriazione indebita, inoltre, essendo i trasferimenti avvenuti col mezzo del bonifico bancario, non si configurerebbe nemmeno l’ipotesi di riciclaggio.

 

 

Decisione della Cassazione

 

Illogicità manifesta e motivazione meramente apparente

 

A giudizio della suprema Corte, la parte ricorrente, svolgendo critiche alla ricostruzione dei fatti operata dall’organo giudicante, nella sostanza, censura un vizio motivazionale dell’atto. Tale vizio non può essere però oggetto di sindacato della Cassazione, alla luce dell’articolo 325 cpp, che qualifica il “vizio di violazione di legge” quale apparente, o di assoluta mancanza della motivazione e certamente non illogicità della motivazione stessa. Quest’ultima, infatti, trova tutela nell’articolo 606 cpp, con la precisazione però che “eventuali vizi argomentativi non possono essere derivati né da diversa valutazione del compendio indiziario, né dal richiamo del contenuto di atti di indagine”, come invece propone la parte ricorrente.

 

Valore incidentale del fumus in altra controversia

 

La Corte di legittimità sostiene, in tema di riesame delle misure cautelari reali, l’effetto preclusivo che, sul fumus degli illeciti contestati, esplicherebbe la precedente decisione assunta dalla Cassazione, con la quale – proprio nei confronti di un altro imputato nella medesima operazione – aveva affermato la reità del comportamento che aveva consentito ai ricorrenti di rientrare in possesso – attraverso il pagamento del corrispettivo della cessione fittizia – di ingenti somme di provenienza delittuosa. Appare evidente che la condotta degli attuali indagati fosse già stata esattamente qualificata e ritenuta, sulla base degli elementi valutati dal tribunale, come integrante gli estremi del delitto contestato di appropriazione indebita, in relazione al quale è stato disposto il sequestro delle quote societarie.

 

La voluntary disclosure 

 

La parte ricorrente contesta il sequestro preventivo delle quote societarie, con riferimento al reato di appropriazione indebita, a fronte dell’incidenza che la procedura di “collaborazione volontaria” ha esplicato nei confronti del reato di riciclaggio. Tutto ciò porterebbe a consentire il sequestro per equivalente del profitto del reato di riciclaggio, in mancanza di una specifica previsione normativa che lo consenta.

 

A parere della Cassazione la censura è infondata: le somme oggetto di riciclaggio, rispetto alle quali è stato disposto il sequestro, non sono costituite esclusivamente dai proventi degli illeciti oggetto della voluntary disclosure, ma comprendono anche il profitto dell’appropriazione indebita. La norma infatti prevede l’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale dei beni che servirono o furono destinati a commettere il reato. La procedura di collaborazione volontaria, ex legge 186/2014, comporta l’esclusione della punibilità dei reati tributari di:

 

a)  dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
b)  dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
c)  dichiarazione infedele
d) dichiarazione omessa
e)  omesso versamento di ritenute certificate
f)  omesso versamento Iva.

 

E, “se commessi in relazione ai delitti tributari ‘coperti’, inoltre, è altresì esclusa la punibilità del riciclaggio e dell’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita”.

 

Gli imputati sostengono l’estensione oggettiva e indiretta della voluntary disclosure, quale causa di esclusione della punibilità del reato di riciclaggio, all’appropriazione indebita, essendo stato il sequestro disposto sul presupposto cautelare della reintroduzione dei capitali dall’estero. Il presupposto però perde di attualità appunto intervenuta la voluntary disclosure che ha “ripulito” le somme oggetto del reato tributario ascritto.

 

La valutazione dell’estensione “oggettiva” della procedura di collaborazione volontaria a un reato diverso da quelli tassativamente previsti presuppone però una valutazione giuridica di merito che è incompatibile con la procedura indicata dall’articolo 325 cpp. Il disposto della legge 186/2014 è relativo a una causa di non punibilità i cui effetti “diretti” sono espressamente limitati dal legislatore a determinate fattispecie penali tributarie, tra cui non rientra il reato di appropriazione indebita.

 

La Cassazione osserva oltretutto che “la tesi dell’estensione oggettiva indiretta della causa di non punibilità sulla misura cautelare disposta per il delitto appropriativo, sembrerebbe contrastare con la stessa previsione normativa, atteso che la legge prevede che l’esclusione della punibilità si estende anche ai soggetti – esterni alla procedura di collaborazione volontaria – che abbiano commesso o concorso a commettere i reati coperti”.

 

È lo stesso legislatore ad aver qualificato le cause di esclusione della punibilità legate alla procedura di voluntary disclosure, attribuendo alle stesse una valenza oggettiva, ma limitandone gli effetti ai soli reati “coperti”, escludendo dunque l’estensione della causa di non punibilità per reati diversi.

 

In conclusione nella procedura di “voluntary disclosure” permangono i presupposti per mantenere in essere il provvedimento cautelare quando agli imputati è stato contestato anche il reato di appropriazione indebita.

Fonte: FIsco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Salvatore Tiralongo
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