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Diritto all’oblio: continuano a serpeggiare i dubbi

lentepubblica.it • 7 Novembre 2014

Con la sentenza della Corte di Giustizia Ue e, a breve, il regolamento europeo sulla data privacy, il diritto all’oblio diventa un tassello ineludibile del quadro. Ma con troppi lati oscuri.

I dati personali sono diventati una risorsa strategica per molte società che sviluppano il proprio business sulla raccolta, aggregazione e analisi dei dati dei propri clienti, attuali e potenziali. Le informazioni in Rete su ciascuno di noi rappresentano ormai la valuta dell’attuale mercato digitale, “il petrolio” dell’economia digitale. Sulla permanenza in Rete di informazioni che ci riguardano si gioca il nostro spazio di libertà, tutela dell’identità digitale e autodeterminazione informatica. Il diritto all’oblio è una delle frontiere mobili della tutela dei diritti dell’individuo e si sta affermando progressivamente in Europa, pur tra molte incognite e difficoltà applicative.

Sentenze recenti hanno riconosciuto tale diritto all’individuo e attribuito a Google e ai gestori dei motori di ricerca la qualifica di responsabili del trattamento dei dati personali, con il conseguente obbligo di cancellare i link catalogati dai motori di ricerca a richiesta del titolare di quei dati. La rimozione del link non comporta alcun obbligo per i siti-sorgente ai quali i collegamenti rimandano e che possono decidere come gestire i dati personali in loro possesso senza il consenso del titolare. Inoltre, il diritto all’oblio vale solo per i contenuti o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati. Nel caso di un personaggio pubblico, l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali potrebbe essere giustificata dall’interesse preponderante del pubblico. L’informazione va dunque rimossa solo se l’impatto sulla privacy dell’individuo prevale sul diritto del pubblico di sapere. Infine, si segnala che, trattandosi di sentenza della Corte di giustizia della UE, l’eventuale rimozione dei link riguarda solo l’Europa, mentre in altre parti del mondo, per esempio negli Stati Uniti, i motori di ricerca potranno mantenere in Rete i link.

Circa le modalità di applicazione del diritto all’oblio, le perplessità non mancano. Il motore di ricerca si trova in una situazione di quasi monopolio per ciò che attiene alla valutazione dei link da rimuovere e da più parti si auspica che le Autorità garanti della privacy nei singoli Stati nazionali assumano un ruolo più incisivo, operativo e formalizzato, per operare un corretto bilanciamento tra la tutela della riservatezza e l’interesse pubblico a conoscere le notizie di volta in volta rimosse dalla Rete su istanza di parte. L’azione dei motori di ricerca è unilaterale: i siti-sorgente non possono obiettare in nessun modo e la discrezionalità di Google e dei suoi competitor nel valutare le richieste di cancellazione dei link è totale. Altra questione insoluta riguarda proprio il cosiddetto “diritto di notifica”. Negli ultimi mesi, Google è stata subissata di richieste di rimozione di link e sta notificando ai siti sorgente l’eventuale decisione di cancellare i link. Le decisioni di rimuovere un contenuto dai risultati delle ricerche on line vengono segnalate ai siti internet per individuare eventuali richieste illegittime di diritto all’oblio , erroneamente assecondate. Casi problematici sono, ad esempio, quello relativi a notizie che riguardano più soggetti, per alcuni dei quali sussistono tutte le ragioni per il riconoscimento del diritto all’oblio, laddove per altri protagonisti degli stessi fatti l’interesse pubblico all’informazione dovrebbe essere considerato prevalente su qualsivoglia istanza di rimozione del link. L’Unione europea ha chiesto a Google maggiore cautela nell’informare i siti delle avvenute rimozioni, perché in questo modo potrebbe venir meno l’anonimato di chi ha chiesto di essere dimenticato dal web.

Nel frattempo, il Parlamento europeo ha  approvato in prima lettura la proposta di Regolamento generale sulla protezione dei dati personali che sostituirà l’attuale direttiva e che sarà immediatamente applicabile negli Stati membri senza la necessità di recepimento attraverso atti normativi nazionali. Nella proposta di Regolamento è riconosciuto il diritto alla cancellazione dei dati: l’interessato avrà il diritto di ottenere dal titolare del trattamento – e quindi dai motori di ricerca – la cancellazione dei propri dati personali e la rinuncia a un’ulteriore diffusione di tali dati e di ottenere da terzi (che possono essere altri siti o utilizzatori dei dati o motori di ricerca) la rimozione di link, copie o riproduzioni di tali dati, se si tratta di informazioni non più necessarie rispetto alle finalità per cui sono state raccolte o diversamente trattate. Tuttavia, l’obbligo di rimozione dovrà bilanciarsi con l’esercizio del diritto alla libertà di espressione per motivi di interesse pubblico. Il testo è ancora in discussione in sede europea e non è detto che non venga modificato prima dell’approvazione definitiva. Le ragione del braccio di ferro che si sta consumando a Bruxelles sono intuibili: la possibilità data agli utenti di cancellare i dati che li riguardano renderebbe sempre provvisorio e revocabile il possesso di quei dati da parte dei motori di ricerca, con conseguente indebolimento del loro valore, anche a fini economici. Se fosse riconosciuto in maniera risolutiva il nostro diritto alla cancellazione delle informazioni su di noi, nessun fornitore di servizi in Rete saprebbe a priori per quanto tempo potrà trattarle e ciò conferirebbe un’elevata dose di imponderabilità alla mole di traffico on line e alla sua capacità di generare reddito per gli Over the top (Ott).

 

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Ruben Razzante

 

ministeri, digitale

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