Un obiettivo strategico per la pubblica amministrazione è massimizzare la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico per adempiere ai propri compiti e per svolgere le relative attività. Per sfruttare al massimo le potenzialità dell’enorme patrimonio di dati raccolti e gestiti dalle pubbliche amministrazioni risulta fondamentale cambiare l’approccio alla loro gestione, in modo da superare la “logica a silos”, in cui i dati sono in molti casi replicati e memorizzati in modo non omogeneo tra i diversi data basee, in alcuni casi, tra loro non coerenti e non allineati, in favore di una visione sempre più sistemica.
– base dati catastale;
– anagrafe tributaria.
I data base di tipo “fiscale”, riferibili al Sistema informativo della fiscalità, sono fortemente caratterizzati dall’utilizzo, quale chiave, del codice fiscale; tale caratteristica peculiare permette di incrociare facilmente i dati presenti nei diversi data base per ottenere informazioni di potenziale interesse.
Le attività di incrocio dei dati contenuti nei diversi data base pubblici e privati possono validamente supportare le amministrazioni dello Stato per reperire elementi informativi di interesse, utili anche a individuare e contrastare fenomeni e comportamenti illeciti.
– i dati dichiarativi
– le fatture emesse e ricevute
– la redditività dell’impresa
– i versamenti o le compensazioni effettuate
– la proprietà di beni mobili e immobili
– i movimenti bancari/finanziari.
È possibile che si rilevi la presenza di operazioni economiche fittizie anche in schemi più complessi finalizzati al riciclaggio o all’autoriciclaggio di proventi illeciti, quindi di violazioni penalmente perseguite di estrema pericolosità, in quanto finalizzate a occultare proventi illeciti afferenti anche ad attività criminali di più rilevante disvalore sociale, quali il traffico di stupefacenti, la vendita di armi, le estorsioni, la corruzione o la concussione.
In particolare, l’eventuale presenza di significative disponibilità finanziarie o patrimoniali potrebbero essere analizzate, sulla base degli altri dati presenti nei data base pubblici e privati, al fine di verificarne la giustificabilità economica e, quindi, la lecita provenienza.
Al riguardo, tale normativa, che trova applicazione, tra l’altro, nei confronti degli “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra, alla ‘ndrangheta o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”, prevede che:
In questo caso si opera attraverso attività economiche di tipo commerciale rivolte a consumatori finali, che prevedono corrispettivi unitari (per singola cessione di beni o prestazione di servizi) di importo modesto, al fine di “reimpiegare” i proventi illeciti per poterli immettere nel circuito economico “legale” e poi riutilizzarli, eventualmente anche per ulteriori fini illeciti.
A mero titolo di esempio si individuano di seguito delle attività economiche potenzialmente interessate (si tratta di una mera esemplificazione, le attività potenzialmente interessate potrebbero essere le più varie):
– sale giochi
– ristoranti
– parcheggi
– ortofrutta
– centri benessere
– commercio di abbigliamento
– fiorai.
L’amministratore dell’impresa potrebbe essere un soggetto nullatenente e senza (significativi) precedenti specifici, sia fiscali che di polizia.
Il riciclaggio potrebbe avvenire immettendo nell’impresa, a fronte di cessioni di beni o di prestazioni di servizi fittizie, liquidità significative ma non ingenti, al fine di evitare quanto più possibile l’invio di segnalazioni per operazioni sospette in fase di versamento del denaro sul conto corrente dell’impresa stessa.
Per ridurre il reddito imponibile, e quindi la correlata tassazione, è possibile ipotizzare che l’impresa possa contabilizzare costi fittizi (ad esempio, tramite la registrazione tra gli acquisti di fatture per operazioni inesistenti, ad esempio correlati a false ristrutturazioni).
Con riferimento allo schema in precedenza riportato, si rileva la potenziale capacità dello stesso di ostacolare, o quantomeno di rendere di difficile applicazione, le misure previste dalla legge 575/1965. In particolare, laddove un soggetto indiziato di appartenere a organizzazioni “mafiose” disponga di beni il cui valore non “risulta sproporzionato al reddito dichiarato”, il sequestro e la confisca previsti alla legge 575/1965 potrebbero risultare non immediatamente applicabili, a meno che non si riesca a dimostrare la fittizietà dei redditi dichiarati.
Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Massimo Varriale