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Open Data più “puliti” e meglio analizzati? Qualche esempio dagli USA

lentepubblica.it • 23 Giugno 2015

patrimonio informativo pubblicoCon la guida di Beth Noveck, direttrice di The GovLab e responsabile di OpenData500, andiamo alla scoperta dei casi più interessanti di aziende americane che incentrano il proprio business sull’analisi delle informazioni messe a disposizione dalla Pubblica Amministrazione e provvedono all’organizzazione dei dati aperti governativi.

 

“Quando lavoravo alla Casa Bianca, come capo dell’Open Government, ho capito che il modo migliore per convincere anche i più scettici ad aprire i dataset fosse spiegare loro il potenziale impatto degli Open Data sull’economia, oltre che puntare sulla loro giustificazione filosofica – spiega Beth Noveck, fondatrice e direttrice di The Governance Lab – Volendo passare da argomentazioni basate sulla ‘fede’ a prove concrete del fatto che gli Open Data possono creare posti di lavoro ed essere un importante motore del business, quando ho lasciato la Casa Bianca nel 2011, insieme a Joel Gurin abbiamo redatto la proposta per creare Open Data 500, che ad oggi conta in effetti più di 600 aziende”.

 

Si tratta del primo studio sulle imprese americane che usano open government data per generare business e sviluppare prodotti. Le aziende sono catalogate per aree tematiche e vengono incrociate in un grafico con le Agenzie Federali da cui prendono i dati utili a sviluppare la propria attività. Joel Gurlin identifica essenzialmente due categorie di business legato agli Open Data: “Better business through open data”, relativo a quelle attività in cui gli open data migliorano i servizi per i consumatori, e “Open Data Pure Plays”, in cui rientrano tutte quelle aziende che semplicemente non esisterebbero senza open data. Tra queste le aziende e le startup che incentrano il proprio business sull’analisi delle informazioni messe a disposizione dalla PA e si occupano di pulizia e organizzazione dei dati aperti governativi.

 

Uno dei migliori esempi nel catalogo di OpenData 500 è rappresentato da Enigma.io, che ha saputo costruire il suo successo rendendo gli open data più accessibili. L’azienda offre un portale per gli Open Data, che aiuta anche le persone con minori competenze tecniche ad accedere e analizzare i dati governativi aperti.

 

L’archivio di Enigma contiene dati provenienti da oltre 100 mila fonti, tra cui agenzie governative, organizzazioni e imprese. Alcuni esempi: le polizze di carico di tutte le spedizioni della US Customs Service, il registro dei visitatori della Casa Bianca e i registri dei finanziamenti delle campagne elettorali. Ai dati si può accedere attraverso l’interfaccia utente del loro sito, che fornisce anche un insieme di strumenti per l’analisi dei dati, o dalle loro web API. Gli utenti possono registrarsi con un account gratuito, che fornisce un numero limitato di accessi, o pagare un canone mensile per avere un accesso illimitato ai servizi di Enigma.

 

L’azienda è basata a New York, una delle aree in cui si raggruppa il maggior numero delle aziende censite da OpenData500. “Sono 85 nell’area di New York, 45 a San Francisco e poi a seguire Chicago, Washington D.C., Boston e Seattle – spiega Beth Noveck –. Questo perché e aziende che lavorano con gli Open Data tendono a concentrarsi in città che hanno già un ecosistema imprenditoriale robusto”.

 

È, o meglio era, di stanza a Boston, DataMarket, altra compagnia molto interessante, che ha integrato nel suo portale molte risorse di dati pubblici aperti, proponendosi da un lato di aiutare gli utenti aziendali a trovare e capire i dati, e dall’altro di affiancare i fornitori di dati affinché riescano a pubblicarli nel modo più efficiente possibile. DataMarket, startup nata in Islanda nel 2011 e poi migrata negli Stati Uniti (anch’essa annoverata tra le aziende di OpenData 500), è stata acquisita sul finire del 2014 da una delle aziende più innovative nel campo dei dati e dell’analisi dei dati: Qlik.

 

Punta invece sull’applicazione della Business Intelligence ai dati aperti Spikes Cavell, che fornisce ai responsabili delle decisioni, tanto nel settore pubblico quanto in quello privato, gli strumenti e le capacità di analisi di cui hanno bisogno per raggiungere la migliore efficienza operativa. Fulcro della proposta di Spikes Cavell è rappresentato dall’Osservatorio, una piattaforma online implementata dalla California State University, per offrire una migliore visibilità della spesa e risparmi  in materia di appalti e nell’attività delle imprese. Anche Spikes Cavell è stata acquistata, nel 2015 da Xchanging, fornitore di processi di business e servizi tecnologici.

 

Sono un centinaio le aziende della sezione “Data/Technology” di OpenData500 e sono in costante crescita, grazie alla richiesta costante di dati raffinati e più semplici da analizzare da parte delle aziende e a un bacino in espansione di dati aperti govrenativi. L’utilizzo degli open data è abilitato e incentivato principalmente da tre fattori – spiega Noveck –. Rendere disponibili gli open data in modo affidabile e coerente; rilasciare e aggiornare i dati con la frequenza necessaria per essere utili alle imprese e poter contare su aziende che investono nelle competenze e negli strumenti necessari per pulire, analizzare e aggregare i dati in modo efficace”.

 

In attesa che il progetto OpenData500 sbarchi in Italia, grazie all’impegno della Fondazione Bruno Kessler, che si propone così di fornire una base per valutare il valore economico dei dati aperti governo e incoraggiare lo sviluppo di nuove imprese incentrate sugli open data; la PA potrebbe iniziare a seguire i consigli di Beth Noveck per accrescere l’uso business delgi open data: “Mantenere un dialogo attivo con le imprese e i cittadini per capire quello che vogliono e di cui hanno bisogno e pubblicare i dati in formati compatibili”.

Fonte: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu) - articolo di Luca Indemini
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