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Bonifica delle aree inquinate dalla società fallita: Comune può eseguire i lavori di recupero

lentepubblica.it • 7 Dicembre 2017

consorzi di bonificaLa Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 29113, accogliendo il ricorso del Comune di Bovolone, in provincia di Verona, contro il fallimento della Snc che gestiva lo smaltimento dei rifiuti.


Il d.m. 25 ottobre 1999, n. 471 (Regolamento  recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni) prevede che «nel caso in cui il sito inquinato sia oggetto di procedura esecutiva immobiliare ovvero delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il Comune domanda l’ammissione al passivo ai sensi degli artt. 93 e 101 del decreto medesimo per una somma corrispondente all’onere di bonifica preventivamente determinato in via amministrativa».

 

Fondato è il motivo di ricorso, con il quale si lamenta il mancato riconoscimento del privilegio di cui agli artt. 2755 e 2770 cod. civ. per le spese del sequestro conservativo eseguito dal ricorrente: la motivazione del diniego – ossia la mancata conversione del sequestro in pignoramento a causa della sopraggiunta dichiarazione di fallimento della società debitrice – è infatti illegittima  perché  la ratio del privilegio delle spese  «per atti conservativi», come il sequestro, risiede appunto nell’avvenuta conservazione dei beni che ne sono oggetto, impedendone l’alienazione a terzi, in vista del  soddisfacimento  delle  ragioni  di tutti i creditori, che si realizza nel fallimento come nell’esecuzione individuale mediante la liquidazione dei beni stessi; il decreto impugnato va pertanto cassato con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi di diritto enunciati nell’accogliere il secondo  e il terzo motivo di ricorso e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

Del resto, prosegue la Cassazione, a opinare diversamente e in modo più restrittivo si metterebbe a rischio «la stessa possibilità di recupero delle somme nel caso di fallimento del debitore, considerati i tempi plausibilmente non brevi dell’esecuzione delle opere da parte dell’ente pubblico, che ben potrebbero superare la data di chiusura della procedura fallimentare».

 

In caso di fallimento dell’azienda proprietaria del terreno inquinato, il Comune ha diritto all’ammissione allo stato passivo per eseguire i lavori necessari al recupero del terreno, con privilegio sulle spese relative al sequestro conservativo del bene.

 

In allegato il testo completo della Sentenza.

 

 

Fonte: Corte di Cassazione
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