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I primi effetti della nuova legge sugli ecoreati

lentepubblica.it • 8 Luglio 2015

inquinamento pulizia boschi ambienteIl nuovo articolo 452-bis del codice penale, che introduce il reato di disastro ambientale, produce un suo primo effetto. Accade ad Ascoli Piceno, dove il giudice Anna Maria Teresa Gregori, con una coraggiosa ordinanza, invia gli atti di un procedimento in corso presso il Tribunale civile a quello penale: la Sgl Carbon in liquidazione e la sua società capogruppo, la spagnola, Sgl Carbon Hoding Sl, avrebbero abbandonato per anni amianto nelle proprie aree industriali, senza preoccuparsi minimamente degli effetti nocivi che questo poteva avere sulla salute della comunità locale e degli addetti impiegati all’interno degli impianti stessi. Le due società, anziché procedere a una doverosa bonifica, avevano preferito vendere a un ignaro compratore.

 

I fatti. La Restart srl acquista nel 2010, per 5,6mln di euro, dalla società Sgl Carbon (di proprietà della Sgl Carbon Holding Sl) appezzamenti di terreni e fabbricati siti in Ascoli Piceno, in passato adibiti alla produzione di elettrodi di grafite ed altro. L’acquirente si impegnava a fare interventi di bonifica per 35 milioni. A tale riguardo, la società venditrice, però, si era guardata bene dal dichiarare all’acquirente e al Comune, scrive la difesa della Restart nel ricorso, «che nell’area e sugli immobili oggetto di compravendita si trovava amianto nelle coperture, nelle strutture e negli impianti, in quantità consistente e “al di sopra di ogni possibile immaginazione”».

 

Ma non basta, continua la difesa della Restart, Sgl Carbon non aveva mai effettuato la valutazione dei rischi per i lavoratori, prevista dal Decreto legislativo 277/91 (attuazione delle direttive europee in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro). Non aveva mai segnalato la presenza di amianto alla Azienda sanitaria unica regionale delle Marche (Asur), organo di vigilanza competente per territorio. Né, tanto meno, aveva mai effettuato la mappatura e la verifica, previste dalla legge, dello stato di conservazione dei materiali contenenti amianto presenti nel sito, con la relativa valutazione del rischio e la nomina del Responsabile Rischio Amianto (Rra). Mai fatti monitoraggi ambientali con prove di laboratorio, né alcun adempimento connesso alla tutela dei lavoratori. La Sgl Carbon non aveva osservato, neppure, le linee guida della Regione Marche in materia di ambiente.

 

Alla luce di quanto sopra, l’acquirente ne deduceva che le era stata dolosamente occultata la presenza di amianto. Un dubbio che diveniva certezza quando, nel 2014 – subito dopo l’emissione di un’ordinanza del Sindaco di Ascoli Piceno, con la quale veniva ordinata alla Restart Srl la produzione di documentazione circa la presenza di amianto all’interno dello stabilimento – la Sgl Carbon spa veniva messa in liquidazione e il suo patrimonio netto ridotto da 28.267.405 a soli 149.054 euro.

 

Di fronte ad un’ulteriore ordinanza sindacale, che le imponeva la messa in sicurezza del sito in soli cinque giorni, la Restart si rivolgeva al Tribunale affinché ordinasse alla Carbon di effettuare direttamente e immediatamente tutti gli interventi di risanamento e bonifica necessari, oltre a risarcirla per i danni subiti per oltre 4mln di euro. La Carbon non sembrerebbe nuova a tali comportamenti, tant’è che alcuni suoi amministratori sono stati rinviati a giudizio per disastro ambientale dalla Procura di Terni, dove sono perciò cominciate le operazioni di bonifica sotto la supervisione del Corpo Forestale dello Stato.

 

Il giudice Anna Maria Teresa Gregori, chiudendo il processo presso il Tribunale civile il 26 giugno scorso, ha condannato la Sgl Carbon Srl ma anche la società controllante, alla mappatura e alla bonifica dell’amianto dal sito in base al principio del “chi inquina paga”, ritenendo finalmente responsabile anche la holding che, sebbene non presente sul territorio, risulta responsabile a livello di gestione aziendale dell’inquinamento. Inoltre, ha inviato gli atti alla procura di Milano affinché valuti se esistano i presupposti per verificare lo stato di insolvenza della Carbon spa. Infine, considerato che “il progetto preliminare di bonifica del sito evidenzia la presenza di benzo ed idrocarburi anche sulla sponda del fiume”, ha inviato gli atti, non solo alla Provincia di Ascoli Piceno, alla Regione Marche ed al Comune di Ascoli Piceno, ma anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ascoli Piceno, per reati ambientali “potendosi ravvisare il reato di disastro ambientale a carico della Sgl Carbon spa in liquidazione”.

 

Ora, la Restart Srl provvederà a consegnare entro l’8 luglio il piano operativo di bonifica che include, oltre alla rimozione dell’amianto, la demolizione di tutti i manufatti presenti sull’area; poi provvederà prioritariamente alla bonifica di cemento, ferro e calcestruzzo, per passare subito dopo a quella del terreno inquinato da Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), come risultato dall’analisi di rischio approvata nel gennaio scorso dagli enti preposti. Il costo totale della bonifica dell’area ammonterà a 36 milioni, di cui uno per l’amianto.

 

Al posto della vecchia area industriale dismessa, saranno realizzati un grande parco urbano, una zona residenziale e un polo scientifico, tecnologico e culturale. Un progetto sostenibile secondo i criteri delle smart cities, che porterà nella città di Ascoli Piceno un po’ di green economy e un po’ di sollievo alle casse del Comune, considerato che, l’area Carbon è tra i siti non bonificati per i quali la Corte di Giustizia europea aveva multato l’Italia. Il Comune ascolano, infatti, ogni semestre, ha un mancato trasferimento dallo Stato di 400mila euro corrispondenti alla multa.

Fonte: La Nuova Ecologia, Network di Legambiente - articolo di Adriano Spera
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