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L’Italia delle frane: in 50 anni vittime raddoppiate

lentepubblica.it • 21 Novembre 2014

Alluvioni e frane sono sempre più frequenti? Forse. Sicuro è che negli ultimi centocinquanta anni, dall’unità d’Italia ad oggi, le vittime sono in aumento. Questo malgrado le molte norme con cui i legislatori hanno cercato di tutelare il territorio e i cittadini. È la conclusione di uno studio sui disastri naturali in Italia pubblicato l’anno scorso dal Centro Euro-Mediterraneo di Documentazione e Ingv. Nel nostro Paese le frane sono seconde solo ai terremoti per numero di vittime. Alcuni numeri parlano da soli: nel cinquantennio tra il 1850 e il 1899 le vittime e dispersi per frana erano 614, nella prima metà del ‘900 le vittime sono aumentate a 1207, mentre tra il 1950 e il 2008 in Italia ci sono state ben 4103 vittime di eventi franosi (di cui 1917 per il solo Vajont).

Circa il 10% del territorio italiano è a rischio di frana, con l’80% dei comuni interessati da almeno un’area a “rischio elevato”, si legge nel rapporto. L’Italia dei Disastri, questo il titolo del rapporto (Bononia University Press), esordisce ricordando che le più grandi catastrofi idrogeologiche del Novecento, quali il Vajont, la val di Pola, Stava, sono state “propiziate, se non esplicitamente causate, dalle attività umane”.

Considerazione, questa, che sposta l’indice della responsabilità dalla natura all’uomo. Molti degli eventi franosi che hanno distrutto o danneggiato le infrastrutture e causato vittime sono stati causati da frane superficiali o colate fangose innescate dalla pioggia. Fenomeni talvolta prevedibili, sicuramente più controllabili dei terremoti, e il cui costo sociale si aggira sui 4-5 miliardi all’anno.

Non che sia facile prevedere una frana in un territorio “con elevata propensione al dissesto”, altrimenti ci sarebbero già sistemi di allerta automatici e sicuri. Spesso non basta infatti una pioggia torrenziale per prevedere se, come e dove avverrà la prossima colata, frana, o smottamento. E quindi si torna a parlare di prevenzione, piuttosto che di previsione. Ma sono stati fatti progressi in questo senso? Non abbastanza. Lo studio sottolinea come il fattore umano “abbia assunto un ruolo sempre più determinante sia con azioni dirette, quali tagli stradali e scavi, che indirette quali la mancata manutenzione del territorio e delle opere di difesa del suolo”. A cui si aggiungono abusivismo, “scarsa attenzione dei tecnici e degli amministratori locali” e la perdita della memoria storica dei cittadini. Certo che con l’estendersi delle aree urbane e l’aumento della frequenza di precipitazioni estreme, è difficile scansare il pericolo.

Ma, allora, se i dati parlano chiaro e la normativa c’è, cos’è che è andato storto nell’ultimo secolo e mezzo? Le leggi, infatti, non mancano. Anche se, stranamente, le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008 contengono poche indicazioni sulla difesa degli edifici dai processi idrogeologici. Quasi ogni disastro ha generato nuove norme. Una, importante, risale al 1909. È il Regio Decreto 193 che vieta di costruire su terreni posti sopra e nei pressi di fratture o eventi franosi o “atti a scoscendere”. Il rapporto chiude commentando che “mai norma è stata più disattesa” di questa: evitare di ricostruire nelle aree a rischio è certamente la migliore difesa dai disastri.

 

 

FONTE: Associazione dei Comuni Virtuosi+

AUTORE: Jacopo Pasotti

 

 

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