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Mare inquinato: la plastica la fa da padrona

lentepubblica.it • 18 Agosto 2014

Sconcertanti i risultati dell’indagine di Goletta Verde: anche se non siamo ai livelli del plastic vortex, l’isola di rifiuti galleggianti formatasi nell’Oceano Pacifico, la plastica è un grave problema anche nei nostri mari.

87 ore di osservazione dei rifiuti galleggianti nei mari italiani e 1700 km di mare monitorati da Goletta Verde e Accademia del Leviatano nell’estate 2014: nei nostri mari si contano fino a 27 rifiuti galleggianti ogni chilometro quadrato. Rifiuti per lo più plastici con una percentuale di quasi il 90%. Lungo le rotte di Goletta Verde il team di osservatori ha incontrato 1 rifiuto plastico ogni 10 minuti.

Il mare più “denso” di rifiuti è il Mar Adriatico con 27 rifiuti galleggianti ogni kmq di mare, un bacino che si distingue anche per la quantità di rifiuti plastici derivanti dalla pesca: il 20%, considerando reti e polistirolo galleggiante, frammenti o intere cassette che si usano per contenere il pescato, percentuale che viene superata solo dalle buste pari al 41% e dai frammenti di plastica al 22%. Il Mar Tirreno con una densità di rifiuti pari a 26 ogni kmq conta invece la più alta percentuale di rifiuti di plastica: il 91%. Da notare che di questa ben il 34% è costituito da bottiglie (bevande e detergenti) che superano la percentuale di buste di plastica (29%) che, invece, fino all’anno scorso avevano il sopravvento. Meglio il Mar Ionio che grazie alla sua posizione geografica conta “solo” 7 rifiuti ogni kmq di mare. E, ancora, 4 rifiuti ogni Kmq per la tratta transfrontaliera Civitavecchia – Barcellona, monitorata da Accademia del Leviatano dove, però, sono stati presi in considerazione solo i rifiuti maggiori di 20 cm e in ambiente di mare alto. Nelle restanti tratte Goletta Verde ha monitorato i rifiuti dai 2,5 cm in su e ben il 75% del totale è costituito da rifiuti inferiori ai 20 cm. Le tratte più “dense” di rifiuti sono lacosta di Castellammare di Stabia, dove si possono contare più di 150 rifiuti ogni kmq; più di 100 i rifiuti al kmq davanti la costa abruzzese di Giulianova e più di 30 sul Gargano, tra Manfredonia e Termoli. Bisogna comunque sempre considerare come in ambito costiero possa essere alta la variabilità del campionamento.

Sono questi, in sintesi i risultati del monitoraggio eseguito dalla Goletta Verde, la campagna di Legambiente realizzata con il contributo di Coou – Consorzio obbligatorio oli usati, Novamont e Nau!, e dall’Accademia del Leviatano nell’estate 2014, secondo il protocollo scientifico elaborato dal Dipartimento Difesa della natura di Ispra e dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, usando la classificazione di rifiuti OSPAR/ TSG-ML.

Anche se non siamo ai livelli del plastic vortex, l’isola di rifiuti galleggianti formatasi nell’Oceano Pacifico, la plastica rappresenta un grave problema ambientale anche nei nostri mari. Il Consiglio Generale della Pesca nel Mediterraneo (FAO) afferma che oltre 6 milioni di tonnellate di materiali solidi e pericolosi di origine umana vengono scaricati ogni anno nei mari del mondo. Indiscutibili sono anche le ripercussioni che la discarica marina genera sull’ambiente, sull’economia e sulla fauna marina. Basti pensare che l’ingestione di rifiuti è tra le principali cause della morte delle tartarughe marine. Senza contare l’impatto delle microplastiche (i frammenti più piccoli che si generano per degradazione dei materiali ad opera degli elementi climatici) che, ingerite direttamente o involontariamente dalla fauna marina, entrano nella nostra catena alimentare.

“La grande quantità di rifiuti che abbiamo trovato lungo il nostro viaggio – dichiaraSerena Carpentieri, portavoce di Goletta Verde – rende l’idea di quello che nascondono i fondali marini. I rifiuti galleggianti che abbiamo monitorato costituiscono solo una minima parte del problema. Si stima che il 70% dei rifiuti che entrano nell’ecosistema marino affondino: secondo i dati dell’Università di Genova e della Regione Liguria ci sono circa 40 kg di rifiuti sommersi ogni kmq di fondale, in gran parte plastica. Eppure i rifiuti sommersi restano lì dove sono e continuano ad accumularsi e frammentarsi entrando così anche all’interno della catena trofica marina. A causa poi delle leggi vigenti e dell’assenza di sistemi di raccolta e smaltimento nei porti, i pescatori sono costretti a rigettare in mare i rifiuti finiti accidentalmente nelle proprie reti. Per questo continueremo a lavorare affinché possano essere bypassate queste burocrazie, appoggiando progetti pilota che contrastano il marine litter e spronando il nostro Paese a impegnarsi per affrontare e mitigare questo problema, a partire dalla prevenzione e sfruttando l’opportunità di studio e programmazione offerta dalla direttiva europea della Marine Strategy”.

Affrontare il problema dei rifiuti marini rientra, infatti, anche nella to do list stilata dalla comunità europea e riportata nel testo della Marine Strategy, la direttiva 2008/56 dedicata all’ambiente marino e che prevede il raggiungimento del buono stato ecologico, per le acque marine di ogni stato membro, entro il 2020, sulla base di 11 descrittori. Il descrittore 10, in particolare, è proprio relativo ai rifiuti che finiscono nel nostro mare e sulle nostre spiagge: “le proprietà e le quantità di rifiuti marini non provocano danni all’ambiente costiero e marino”.

È un problema mondiale che va affrontato in maniera sistemica. E proprio all’Unione Europea parte l’appello di Legambiente, proprio all’indomani dell’entrata in vigore del Piano di azione Regionale sulla gestione dei rifiuti marini nel Mediterraneo adottati dalle Parti della Convenzione di Barcellona nel dicembre 2013. Con questo Piano il Mediterraneo diventa la Regione pioniera nell’adozione di misure giuridicamente vincolanti sui rifiuti marini ed è il primo a basarsi interamente sul principio dell’approccio eco sistemico per raggiungere un buono stato dell’ambiente nel Mediterraneo. La messa in opera di misure concrete per la riduzione dei rifiuti marini va dal 2016 al 2025, con la maggior parte delle misure che devono essere attuate entro il 2020.

“Negli ultimi 30 anni – conclude Stefano Ciafani, vice presidente di Legambiente– la produzione mondiale di plastica è cresciuta del 500% e questi manufatti non biodegradabili hanno contribuito enormemente all’inquinamento ambientale e a quello dei mari. L’Italia negli ultimi anni grazie al bando dei sacchetti di plastica non compostabile ha segnato una discontinuità unica tra i paesi industrializzati, promuovendo innovative politiche industriali di chimica verde e cambiando anche gli stili di vita degli italiani che facevano un uso esagerato di questi manufatti. È arrivato il momento che l’Europa adotti in via definitiva la proposta di direttiva già ampiamente discussa e votata in prima lettura nel precedente Parlamento Europeo per estendere la buona pratica italiana anche al resto del vecchio continente che deve risolvere anche il problema dell’inquinamento da plastica del mar Mediterraneo”.

“Le attività svolte dalla Goletta Verde sono a nostro parere fondamentali per restituirci un quadro organico e chiaro dei principali fattori di rischio nel marine litter – sottolinea Andrea Di Stefano, responsabile Progetti Speciali di Novamont, azienda che ha sostenuto le attività di ricerca di Goletta Verde –. Le bioplastiche stanno dimostrando un crescente ruolo a sostegno di una riduzione del rischio come evidenziato dalle ultime ricerche scientifiche svolte da Hydra Institute che hanno permesso di verificare che il Mater-Bi si decompone per circa il 90% in 8 mesi in quei luoghi dell’ambiente marino in cui le plastiche disperse tendono ad accumularsi. Successive prove di biodegradazione supervisionate dall’Istituto Italiano dei Plastici (IIP) indicano che la plastica biodegradabile Mater-Bi® di quarta generazione ha raggiunto una biodegradazione superiore all’80% in circa 220 giorni. Le prove di laboratorio simulano le condizioni ambientali del fondo marino e della battigia, habitat in cui finiscono molti rifiuti plastici. Questo è il primo passo di un iter che porterà alla definizione di un processo di certificazione da parte di IIP”.

 

FONTE: Legambiente

 

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