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Compensi erogati ai Dipendenti Pubblici: mancata comunicazione non è punibile?

lentepubblica.it • 30 Gennaio 2017

dipendenti pubbliciLa Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza del 14 dicembre 2016, n. 25752, si pronuncia sulla mancata comunicazione dei compensi erogati dipendenti pubblici.

 


 

Osserva il Collegio che nel pubblico impiego contrattualizzato l’art. 53, nel suo insieme, non vieta l’esperimento di incarichi extraistituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano “conferiti” dall’Amministrazione di provenienza ovvero da questa preventivamente autorizzati, rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva ed oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio.

 

All’applicazione di tale disciplina concorre il comma 9 dell’art. 53, che fa carico agli enti pubblici economici e ai datori di lavoro privato di chiedere la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza del lavoratore.

 

La mancata comunicazione dei compensi erogati ai dipendenti pubblici non è punibile. La Suprema Corte elimina le sanzioni a carico dei soggetti che, avendo conferito un incarico professionale ad un dipendente pubblico, non hanno comunicato i compensi corrisposti.

 

Tale previsione, la cui violazione da luogo a sanzione amministrativa, sarebbe priva di effettività se, come deduce la ricorrente, nessun onere sussistesse a carico del datore di lavoro in ordine alla verifica dell’assenza delle condizioni per cui è prevista l’autorizzazione. Nè, quanto richiesto al datore di lavoro dal citato comma 9, può essere trasferito a carico del lavoratore (assumendo la ricorrente che sarebbe quest’ultimo a dover informare il datore di lavoro della propria qualità di dipendente pubblico, per cui, in mancanza di ciò, nessun addebito potrebbe essere mosso al datore di lavoro).

 

Ed infatti, anche il lavoratore concorre all’attuazione della disciplina sulla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, ma la norma di riferimento per quest’ultimo, va individuata nell’art. 53, comma 7, che prende in esame le conseguenze per il lavoratore della mancanza di autorizzazione a svolgere l’incarico extraistituzionale.

 

Correttamente, quindi, la Corte d’Appello, ha affermato che sussiste a carico del datore di lavoro, con relativo onere della prova, senza che ne siano tipizzate le modalità, un obbligo di verifica delle condizioni che escludono la richiesta di autorizzazione, non potendosi lo stesso rimettere unicamente a quanto eventualmente dichiarato sponte sua dal lavoratore.

 

Nè ciò contrasta con quanto previsto dal D.Lgs. n. 689 del 1981, art. 3. Come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass., n. 19759 del 2015), in tema di violazioni amministrative, l’errore sulla liceità del fatto giustifica l’esclusione della responsabilità solo quando risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della stessa liceità, oltre alla condizione che, da parte sua, sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore sia stato incolpevole, non suscettibile, cioè, di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza.

 

In allegato la Sentenza.

 

 

 

Fonte: Corte di Cassazione, Sezione Lavoro
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