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Il Responsabile della prevenzione della corruzione (Segretario comunale) e l’azione disciplinare

Lucca Maurizio • 30 Agosto 2021

prevenzione della corruzione

L’Analisi dell’Avvocato Maurizio Lucca mette in luce il tema della prevenzione della corruzione, con una recente sentenza della Corte di Cassazione. 


Prevenzione della corruzione: massima

La sez. Lav. della Corte di Cassazione, con la sentenza del 1° giugno 2021, n. 15239, conferma la legittimità dell’azione del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC) in materia di violazione delle misure di sicurezza e del contestuale presidio dell’azione disciplinare: piena compatibilità nella composizione dell’organo competente in materia di sanzioni disciplinari del Presidente (Segretario comunale) che rivestiva anche il ruolo di Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza (RPCT).

Peculato e condotta

La questione è stata affrontata a fronte del licenziamento di un dipendente pubblico al quale veniva addebitato il mancato riversamento, nella casse del Comune, dei diritti di segreteria relativi alle emissioni delle carte d’identità; addebito (per il delitto, ex 314, Peculato, cod. pen., «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria») [1] emerso da un raffronto tra il registro dei diritti e l’elenco delle carte di identità effettivamente emesse e dichiarate in numero inferiore a quello di effettiva emissione.

Pare giusto osservare, con riferimento alla condotta, che risulta irrilevante per la consumazione del reato che il soggetto agente sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle disposizioni organizzative dell’ufficio, potendo lo stesso derivare anche dall’esercizio di fatto o arbitrario di funzioni [2], atteso che l’illecito (anche sotto il profilo erariale) è collegato ad un comportamento consistente in una reiterata e sistematica violazione delle norme di diligenza generali (ex art. 2104 c.c.) e di fedeltà (ex art. 2105 c.c.), a presidio dell’art. 97 Cost. e della tutela dei beni pubblici, ove se consideri che in materia di riscossione il versamento delle somme è una condotta dovuta, priva di discrezionalità, diversamente essa si è concretizzata nell’impossessamento doloso (elemento soggettivo: dolo generico) di denaro di spettanza (e appartenente ab origine) [3] dell’Ente comunale [4].

L’“appropriazione” non soltanto della detenzione materiale della cosa ma anche della sua disponibilità giuridica, essendo l’agente in grado, mediante un atto di propria competenza, di inserirsi nella disponibilità della “pecunia” e di conseguirne volutamente, uti dominus, l’appropriazione/distrazione (condotta incriminata), anche momentanea [5].

Invero, qualora il pubblico ufficiale abbia l’obbligo di versare nelle casse della P.A. il danaro di volta in volta ricevuto da terzi per ragione del suo ufficio, anche la mancata previsione di un termine di scadenza, se è pur possibile ipotizzare a tollerare un eventuale ritardo nell’adempimento dell’obbligo, non può tuttavia giustificare qualsiasi ritardo, ed in particolare anche quello che si protragga oltre quel “ragionevole” limite di tempo che sia imposto dalla maggiore o minore complessità delle operazioni di versamento da compiere, ovvero dalla necessità, per il pubblico ufficiale, di attendere anche a doveri d’ufficio di diversa natura [6].

Misura di prevenzione della corruzione

Questa prima considerazione, permette anche di indicare una “misura” di controllo/verifica riferita all’“Area a rischio generali”, individuata dal PNA 2015, nello specifico della “gestione delle entrate” e dei “controlli e verifiche”, con l’adozione di una procedura interna volta ad effettuare il monitoraggio del Piano triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPCT) a cura del RPC: è necessario una verifica di cassa – a campione – per un riscontro delle entrate degli agenti contabili (attività già rientrante tra i compiti del Revisore, ex artt. 223, 224 e 239, comma 1, lettera c) e f), del d.lgs. n. 267/2000).

I poteri del RPCT

Il comma 7 dell’art. 1 della legge n. 190/2012 stabilisce che il RPCT «segnala all’organo di indirizzo e all’organismo indipendente di valutazione le disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza e indica agli uffici competenti all’esercizio dell’azione disciplinare i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza», rilevando una competenza propria ad attivare, ossia dare impulso, all’azione disciplinare.

Inoltre, segnala la Corte, l’art. 41 del d.lgs. n. 97/2016 ha apportato alcune modifiche al testo originario della legge n. 190/2012:

  • unificato in capo ad un solo soggetto l’incarico di Responsabile prevenzione della corruzione e della trasparenza;
  • rafforzandone il ruolo attraverso l’affidamento del compito di gestire, coordinare e vigilare sulle “misure” di prevenzione del rischio corruttivo, con capacità proprie di intervento;
  • distinguendone anche il ruolo di detto Responsabile da quello di componente dell’Ufficio procedimenti disciplinari (UPD);
  • estendendo le figure organiche in grado di rivestire l’incarico di Responsabile anticorruzione, dall’originario Segretario comunale a quella del dirigente apicale, salva diversa motivata determinazione;
  • operando il RPCT in piena autonomia verso gli organi di indirizzo o di vertice nell’assolvere i propri compiti;
  • inibendo qualsiasi intromissione nel corretto svolgimento dell’attività di prevenzione e difendendo il soggetto rispetto ad eventuali pressioni esterne o richieste informative sugli esiti dell’attività e dei soggetti coinvolti [7].

Il RPCT e l’UPD

Dall’analisi giuridica della norma, la Corte perviene al principio di diritto, secondo il quale se da una parte, la nuova disposizione postula una alterità dei due uffici (quello del RPCT e dell’UPD, dall’altra non indica espressamente una loro incompatibilità, anzi si sottolinea la volontà di rimarcare la necessaria differenza che esiste tra ufficio del Responsabile della prevenzione della corruzione e Ufficio dei procedimenti disciplinari, ma questa sua natura non «sembra escludere la possibilità che il primo sia anche componente dell’UPD».

La contestazione sulla presenza del RPCT all’interno dell’Ufficio disciplinare viene rigettata: piena coerenza normativa tra la figura del soggetto che vigila e segnala eventuali mancanze in materia di prevenzione della corruzione e l’ufficio preposto a sanzionare le conseguenti violazioni: una collaborazione attiva che non mina la terzietà della figura del RPCT.

La Corte, dopo aver chiarito la pur insussistente incompatibilità tra la presenza del RPCT e l’UPD, si sofferma sull’eventuale conflitto di interessi in concreto tra il soggetto segnalante (RPCT) e il soggetto che valuta le infrazioni disciplinari (UPD).

Sul punto, conclude secondo un orientamento già espresso in materia di composizione degli UPD: il principio di terzietà ne postula la distinzione sul piano organizzativo con la struttura nella quale opera il dipendente, e non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo, rispetto al lavoratore ed alla P.A., potrebbe assicurare, laddove il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto.

In termini diversi, il procedimento disciplinare viene attinto dalla struttura datoriale del dipendente, struttura che è terza rispetto alle valutazioni e gode di autonomia di giudizio, con la conseguenza che «qualora il suddetto ufficio abbia composizione collegiale, e sia distinto dalla struttura nella quale opera il dipendente sottoposto a procedimento, la terzietà dell’organo non viene meno solo perché sia composto anche dal soggetto che ha effettuato la segnalazione disciplinare» [8].

Prevenzione della corruzione: le FAQ ANAC

Sulla questione dibattuta l’ANAC nella FAQ 8.1.11. (aggiornata al 26 marzo 2021) alla domanda se il RPCT possa rivestire il ruolo di Responsabile dell’UPD precisa che «non sussiste una situazione di incompatibilità tra la funzione di RPCT e l’incarico di componente dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD), specie nel caso in cui l’UPD dell’Amministrazione sia costituito come Organo Collegiale e salvo i casi in cui oggetto dell’azione disciplinare sia un’infrazione commessa dallo stesso RPCT. Nel caso in cui l’UPD sia organo monocratico è preferibile, tuttavia, che le amministrazioni e gli enti evitino di attribuire allo stesso anche le funzioni di RPCT. In ogni caso la scelta è rimessa all’autonoma determinazione degli organi di indirizzo» [9].

Si comprende che viene rinviata alla disciplina interna ogni valutazione concreta (ovvero, il regolamento disciplinare o degli uffici potrà stabilire eventuali diverse composizioni) ed – in ogni caso – qualora il RPCT sia componente o presidente dell’UPD non sussiste alcuna incompatibilità.

A rafforzare tale eventualità cogente, giova rammentare che il CCNL dei Segretari comunali, per il triennio 2016 – 2018, prevede al comma 2, dell’art. 101, Funzioni di sovraintendenza e coordinamento del Segretario, che «l’incarico di Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e la Trasparenza del Segretario Comunale e Provinciale, è compatibile con la presidenza dei nuclei o altri analoghi organismi di valutazione e delle commissioni di concorso, nonché con altra funzione dirigenziale affidatagli, fatti salvi i casi di conflitti di interesse previsti dalle disposizioni vigenti».

Considerazioni ex ante

La sentenza in commento, conferma alcune valutazioni effettuate nel marzo 2019 (L’autosegnalazione del Responsabile dell’Ufficio dei procedimenti disciplinari di una condotta disciplinarmente rilevante all’UPD non comporta l’obbligo di astensione per l’assenza del conflitto di interessi), nelle quali si sosteneva che il Segretario comunale «possa esercitare il potere disciplinare sull’intero personale dipendente, anche dirigenziale, potendo attivare il procedimento su segnalazione o d’ufficio (in proprio), non rilevando alcun genere di incompatibilità o conflitto di interessi sul fatto concreto quando manchi l’elemento personale del fatto, ovvero un proprio personale interesse».

In presenza di un comportamento rilevante sotto diversi profili, disciplinari o di cattiva gestione amministrativa (c.d. maladministration) [10], il RPCT (Segretario comunale) – una volta accertato il fatto o acquisita la segnalazione – deve attivarsi al fine di porre rimedio all’accaduto, confermando sia una titolarità dell’azione disciplinare che di componente dell’UPD, senza limitazione di ruoli, «diversamente opinando, si limiterebbe l’operatività dell’intero sistema positivo, inibendo la naturale funzione e l’esercizio delle competenze, escludendo in radice l’esercizio del potere attribuito».

Note

[1] Ai fini della configurabilità del delitto di peculato, è sufficiente che il possesso o la disponibilità del denaro o della cosa mobile si siano verificati per ragioni di ufficio o di servizio, essendo irrilevante, a norma dell’art. 360, cod. pen., che l’appropriazione sia avvenuta in un momento in cui la qualità di pubblico agente sia cessata, qualora la condotta appropriativa sia funzionalmente connessa all’ufficio od al servizio precedentemente esercitati, Cass. pen., sez. VI, 11 maggio 2021, n. 29188.

[2] Tribunale Lecce, sez. II, sentenza 11 febbraio 2021.

[3] Nel caso la somma sia acquisita da un concessionario e non riversata alla P.A., non si integra il reato di peculato, costituendo un mero inadempimento contrattuale la condotta del concessionario che omette di versare al Comune la quota pattuita in relazione alle somme riscosse dai privati a titolo di corrispettivo di un servizio prestato, in quanto il denaro non corrisposto all’Ente pubblico non appartiene allo stesso “ab origine”, Cass. pen., sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 37674.

[4] Il pubblico ufficiale che ha ricevuto denaro per conto della P.A. realizza l’appropriazione sanzionata dal delitto di peculato nel momento stesso in cui egli ne ometta o ritardi il versamento, cominciando in tal modo a comportarsi “uti dominus” nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d’ufficio, integrando il delitto di peculato, quale reato a consumazione istantanea per aver omesso o ritardato di versare ciò che ha ricevuto per conto della P.A., in quanto tale comportamento costituisce un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso “uti dominus”, Cass. pen., sez. VI, 26 gennaio 2021, n. 18105.

[5] GIANNELLI, Il peculato, in Reati contro la pubblica amministrazione. Aspetti sostanziali e processuali, Maggioli, 2021, pag. 31.

[6] Cass. pen., sez. VI, 14 gennaio 2021, n. 3601.

[7] Cfr. ANAC, delibera n. 955 dell’11 novembre 2020 (Fasc. Anac n. 4827/2020), Segnalazione misure discriminatorie, ex art. 1, co. 7, l. 190/2012, e revoca discriminatoria, ex art. 15, co. 3, d.lgs. 39/2013 nei confronti del RPCT di S.R.R. OMISSIS, ove si censura il provvedimento di revoca del RPCT, quale misura ritorsiva, attraverso una misura organizzativa: «la revoca, infatti, come confermato dalla Società, è una conseguenza del primo ordine di servizio al RPCT, con cui sono state adottate le misure organizzative del mutamento di mansioni aventi effetti negativi sulle condizioni di lavoro del RPCT. La revoca appare priva di motivazione mentre quella fornita a posteriori dal Presidente non corrisponde ai fatti illustrati e appare quantomeno errata». Vedi, anche, ANAC, delibera n. 1087 del 10 dicembre 2020 (Fasc. Anac n. 4979/2020), Licenziamento ritorsivo del RPCT dell’Azienda OMISSIS per l’Edilizia Residenziale OMISSIS, ove si riporta che dai documenti istruttori emerge da una parte, «il conflitto d’interessi, ex art. 6, co. 2, d.p.r. 62/2013, in cui versava il Direttore generale nel procedimento disciplinare avviato nei confronti del RPCT e il conseguente obbligo di astensione, ex art. 7, d.p.r. 62/2013, gravante sullo stesso poiché chiamato a giudicare su un fatto che lo riguardava personalmente e direttamente», dall’altra, il profilo della discriminazione, «tanto il Presidente, quanto il Direttore Generale dell’Azienda – che hanno partecipato al procedimento disciplinare nei confronti del RPCT, conclusosi con il suo licenziamento in tronco – sono stati destinatari delle verifiche in materia di prevenzione della corruzione svolte dal RPCT nelle due settimane immediatamente precedenti la contestazione, da cui sono emerse alcune criticità – segnalate anche ad altri organi di controllo aziendali e regionali – su cui il RPCT si apprestava a svolgere approfondimenti, non effettuati a causa della sua sospensione e del suo licenziamento».

[8] Cass., 24 gennaio 2017, n. 1753 e Cass. 28 giugno 2019, n. 17582.

[9] Cfr. ANAC, Orientamento prot. 148861 del 6 novembre 2015, dove è stato ritenuto possibile il conferimento dell’incarico dirigenziale sulla gestione del personale, comportante anche la titolarità dell’ufficio di disciplina al Segretario generale, già responsabile della prevenzione della corruzione, anche se il Comune non è di piccole dimensioni, legittimando la possibile confluenza di ruoli, in capo al Segretario generale, come figura assorbente funzioni di prevenzione, di controllo e di gestione delle sanzioni disciplinari, rispetto ad una diversa interpretazione della Funzione Pubblica, con la Circolare n. 1 del 2013, «Legge n. 190 del 2012 – Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione», che invitava le Amministrazioni a scindere la funzione di RPC dalla Responsabilità nella gestione del personale, salvo per i piccoli Comuni, e il precedente orientamento n. 111 del 4 novembre 2014, secondo il quale sussisterebbe una potenziale situazione di conflitto di interessi nello svolgimento di entrambe le funzioni (responsabile della prevenzione della corruzione e responsabile dell’ufficio procedimenti disciplinari).

[10] In un concetto esteso di maladministration «in cui rientrano tutta una serie di comportamenti che non necessariamente implicano profili delittuosi», CANTONE, Autorità indipendenti e anticorruzione, Convegno presso l’Auditorium CONSOB, Roma, 4 aprile 2017, ripresi anche nell’Aggiornamento al PNA 2018.

 

Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca, Segretario generale Amministrazioni Locali
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