lentepubblica


Si può continuare a lavorare sino a 70 anni? Dipende dal settore di lavoro

lentepubblica.it • 2 Marzo 2021

Lavoro fino a 70 anniE’ possibile continuare l’attività lavorativa sino a 70 anni? La risposta dipende se operiamo nel settore pubblico o privato. Ecco tutte le condizioni.


Si può continuare a lavorare sino a 70 anni? Dipende dal settore di lavoro.

Spesso al raggiungimento dell’età pensionabile il lavoratore si chiede se può o meno proseguire l’attività lavorativa oltre tale età per maturare una pensione più corposa. La possibilità di proseguire il rapporto lavorativo oltre l’età pensionabile era, del resto, una delle prerogative della Riforma Fornero.
L’ articolo 24, comma 4 del Dl 201/2011  stabiliva che i lavoratori possono rimanere sul posto di lavoro oltre il compimento dell’età pensionabile, sino ai 70 anni al fine di agguantare un assegno più ricco.
Incentivazione garantita tramite l’estensione delle tutele contro il licenziamento illegittimo previsto dallo Statuto dei Lavoratori (articolo 18 della legge 300/1970).
In questo modo si compensavano gli effetti del sistema contributivo che, come noto, legano la misura dell’assegno ai contributi versati e all’età di pensionamento.

Le regole nel settore privato

Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato è intervenuta la Corte di Cassazione. L’interpretazione è tuttavia meno favorevole al prestatore di lavoro.

Nella Sentenza a Sezioni Unite numero 17589/2015 i supremi giudici hanno, infatti, indicato che la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l’età pensionabile possa avvenire solo a seguito di uno specifico accordo con il datore di lavoro.

Nella sentenza si legge, infatti, che la novella operata dalla Legge Fornero “non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore”.

Si tratta, in sostanza, di un incentivo affinchè “le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi”.

La prosecuzione del rapporto di lavoro sino all’età dei 70 anni, non è un diritto potestativo del lavoratore.

Si esaurisce in un mero interesse che può essere compresso da una diversa volontà del datore di lavoro.

In definitiva sino alla maturazione dell’età pensionabile (67 anni) il rapporto di lavoro gode della normale protezione contro il licenziamento illegittimo offerta dallo Statuto dei Lavoratori; alla maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi per il pensionamento di vecchiaia si entra nell’area della libera recedibilità del rapporto di lavoro (licenziamento ad nutum) prevista dall’articolo 4, co. 2 della legge 108/1990. Con la conseguenza che il datore di lavoro può liberamente collocare a riposo forzato il lavoratore.

No al licenziamento in caso di maturazione del requisito contributivo

Risulta, invece, irrilevante la circostanza che il lavoratore abbia maturato il diritto alla pensione anticipata (o alla quota 100) prima dell’età pensionabile.

In tal caso il rapporto di lavoro può proseguire comunque sino al raggiungimento dei 67 anni.

Ad esempio un lavoratore dipendente del settore privato con 42 anni e 10 mesi di contributi ed un’età anagrafica di 63 anni può proseguire il rapporto sino a 67 anni prima di poter essere licenziato ad nutum dal datore di lavoro.

Il venir meno della garanzia di stabilità, secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza, è conseguenza esclusiva del raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, mentre i requisiti per la pensione di anzianità (ora pensione anticipata) non incidono in alcun modo (vedi Cassazione 20 aprile 1999, n. 3907).

La prosecuzione sino a 65 anni

Si ritiene, tuttavia, che ove l’età pensionabile sia stabilita ad un’età inferiore a 67 anni (circostanza possibile ormai solo in alcuni fondi previdenziali) i lavoratori hanno la possibilità di chiedere la prosecuzione del rapporto di lavoro sino all’età di 65 anni a norma dell’articolo 6 della legge 26 febbraio 1982, n. 54.

Ciò in quanto tale norma non risulta colpita dalla Sentenza sopra citata che è intervenuta espressamente solo sull’incentivazione offerta dalla legge 201/2011.

Tale opzione permette, infatti, agli iscritti all’assicurazione Ivs ed alle gestioni sostitutive, esclusive ed esonerative dalla medesima, i quali non avessero raggiunto l’anzianità contributiva massima utile prevista dai singoli ordinamenti, di continuare a prestare attività lavorativa fino al perfezionamento di tale requisito o per incrementare la propria anzianità contributiva e comunque non oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di età, semprechè non avessero ottenuto o non richiedano la liquidazione di una pensione a carico dell’Inps o di trattamenti sostitutivi, esclusi od esonerativi dall’assicurazione generale obbligatoria.

Le regole nel settore Pubblico

Dal perimetro della Sentenza restano fuori anche i dipendenti pubblici per i quali l’incentivazione offerta dalla Riforma Fornero era già stata disattivata dal dl n. 101/2013.

Nel decreto in parola si era precisato che i limiti di permanenza in servizio nelle pubbliche amministrazioni – cioè 65 anni almeno nelle generalità delle pubbliche amministrazioni – possono essere superati solo per far acquisire il primo diritto a pensione.

 

Fonte: https://www.pensionioggi.it/
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments