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In quali casi il lavoro part-time va a incidere sulla Pensione?

lentepubblica.it • 4 Marzo 2016

lavoro parti sociali intesaLo svolgimento del lavoro part-time non determina un allungamento dell’età pensionabile anche se la minore contribuzione incide sulla misura della pensione. Un anno di lavoro part-time vale quanto un anno di lavoro a tempo pieno ai fini del conseguimento del diritto alle prestazioni previdenziali. A differenza di quanto si pensa il lavoro part-time, infatti, non allontana la pensione ma influisce esclusivamente sulla misura della stessa dato che la retribuzione percepita dal lavoratore sarà inferiore e ciò si riverbererà inevitabilmente sulla rendita pensionistica.

 

In sostanza per quanto riguarda il raggiungimento del diritto alla pensione le settimane, i mesi e gli anni di lavoro svolti in part-time (orizzontale o verticale) sono trattati allo stesso modo delle settimane svolte a tempo pieno: un anno di part-time viene conteggiato come un anno di lavoro svolto a tempo pieno. Ovviamente a condizione che sia stato rispettato il minimale inps per il lavoro dipendente (di poco superiore a 10mila euro nel 2016). Ad esempio se un soggetto lavora 35 anni a tempo pieno ed altri 8 anni con lavoro part-time l’anzianità contributiva che potrebbe vantare al termine della carriera lavorativa sarebbe sempre pari a 43 anni. E potrebbe essere utilizzata, ad esempio, per accedere alla pensione anticipata.

 

Ciò che cambia è la misura della pensione. A tal fine occorre distinguere se la pensione è determinata con il sistema contributivo o con il sistema retributivo tenendo in considerazione che, per effetto della Legge Fornero, tutti i lavoratori, anche chi poteva vantare almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, ha una parte dell’assegno calcolato con il sistema contributivo (dal 1° gennaio 2012). Questo passaggio risulta risulta particolarmente penalizzante dato che l’accantonamento dei contributi dipende esclusivamente dalla retribuzione del lavoratore e, pertanto, un dimezzamento della retribuzione dovuta al part-time si tradurrà in un valore inferiore di contributi sui quali poi sarà calcolato il montante complessivo della pensione. La pensione contributiva si ottiene, infatti, moltiplicando il montante contributivo individuale (per il part time il 33% della retribuzione, che è notevolmente inferiore a quella di un lavoratore a tempo pieno) per il coefficiente di trasformazione.

 

A questo problema sono particolarmente esposti i giovani entrati nel mondo del lavoro dopo il 1995. Chi è nel sistema contributivo puro deve, infatti, considerare che questo sistema richiede per l’accesso alla pensione di vecchiaia che il primo rateo della pensione superi un determinato importo soglia, pari a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale, cioè circa 650 euro al mese. Lavorare per metà della carriera lavorativa con contratti di lavoro part-time potrebbe, pertanto, non far raggiungere il predetto importo e costringere il lavoratore a posticipare l’accesso finchè tale condizione non risulti raggiunta. E’ noto infatti che il sistema contributivo prevede una pensione più elevata quanto più si dilata l’uscita (tramite l’attivazione di coefficienti di trasformazione più elevati). Solo al perfezionamento di 70 anni di età (requisito però da adeguare alla stima di vita) diviene possibile uscire a prescindere dall’importo soglia.

 

Chi invece ha ancora parte dell’assegno determinato con il sistema di calcolo misto (cioè retributivo sino al 2011) ha in linea generale meno da temere dal passaggio al part-time. Perchè l’ordinamento riconosce al lavoratore una retribuzione pensionabile pari a quella che avrebbe ricevuto se fosse rimasto con un rapporto a tempo pieno neutralizzando la diminuzione delle retribuzioni pensionabili per il calcolo della quota A (ultimi cinque anni per anzianità maturata entro il 1992) e della quota B (ultimi 10 anni per anzianità maturata dal 1993 sino al 2011). Questo meccanismo impedisce, dunque, che gli ultimi anni di lavoro svolto a part-time svalutino le quote retributive dell’assegno; si tratta di una clausola di salvaguardia particolarmente importante. In alcuni casi addirittura è possibile che il pensionato ci guadagni sulla retribuzione annua media pensionabile rispetto alla contribuzione a tempo pieno. Ovviamente l’anzianità maturata dal 2012, soggetta al calcolo contributivo, sarà commisurata all’ammontare dei versamenti effettuati fino al momento delle pensione e, pertanto, in caso di part-time sarà minore rispetto a quella di un lavoratore a tempo pieno.

 

Per ovviare alla perdita della contribuzione occorre ricordare che i periodi di lavoro part-time possono essere riscattati, ai fini della misura del trattamento pensionistico, a condizione che risultino non lavorati e che siano collocati entro il periodo temporale del rapporto di lavoro. Chiaramente, i contributi versati dal lavoratore contribuiranno esclusivamente alla determinazione dell’importo del trattamento pensionistico. Essi non generano alcuna variazione ai fini del diritto a pensione dal momento che a tal scopo sono già valutati per intero.

 

Fonte: Pensioni Oggi (www.pensionioggi.it) - articolo di Franco Rossini
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