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PA: dirigente che si finge laureato arreca danno erariale

lentepubblica.it • 11 Aprile 2017

laurea-300x225Un dirigente nelle PA che si finge laureato arreca un danno erariale. Questa è la conclusione della Corte dei Conti , sezione giurisdizionale per la Campania, con l’articolata sentenza 129/2017.


La giurisprudenza contabile ha sviluppato almeno tre diversi indirizzi rispetto alla configurabilità dell’occultamento doloso del danno nelle ipotesi di omesse o false dichiarazioni in ordine allo svolgimento di attività incompatibili con la fruizione della borsa di studio.

 

Un primo indirizzo condivide tale ricostruzione, ritenendo che il mendacio o la reticenza sia sufficiente a configurare un occultamento doloso del danno (cfr. SEZIONE GIUR. LIGURIA, SENT. N. 13 DEL 2015, secondo cui “il fatto che il N. abbia falsamente attestato, nelle forme della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ex art. 4 della legge 4 gennaio 1968 n. 15 – prima dell’inizio del corso, in data 15/12/2003, e dopo la fine dello stesso, in data 25/10/2006 – di non avere svolto attività incompatibili, oltre a provare – per i motivi che saranno infra specificati – la consapevolezza e volontarietà della illecita condotta tenuta, dimostra anche l’intenzionalità dell’occultamento di quelle attività incompatibili che sono state in realtà svolte (Cfr., Sez. Liguria sentt. n. 254 del 2012 e n. 25 del 2013).”).

 

Un secondo indirizzo nega invece che una tale falsa attestazione resa in una autocertificazione sia di per sé idonea a configurare un occultamento doloso del danno (cfr. SEZIONE GIUR. SICILIA, SENT. N. 207 DEL 2015, secondo cui “la dichiarazione propedeutica all’ammissione al corso resa dal medico non costituiva una situazione ostativa alle verifiche, tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, ma, al più, una mera difficoltà di accertamento del fatto (eventualmente) dannoso, superabile con normali controlli. Il contenuto della dichiarazione non impediva alla ASP di controllare la veridicità della situazione attestata, acquisendo le necessarie informazioni dai competenti uffici finanziari (come del resto è avvenuto) o da altri uffici coinvolti.”).

 

Secondo un terzo indirizzo, infine, pur negandosi che il semplice mendacio possa configurare un occultamento doloso del danno, si propone un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2935 c.c. secondo la quale per il decorso della prescrizione occorre in ogni caso che il danno divenga “oggettivamente percepibile e riconoscibile”, anche in relazione alla sua rilevanza giuridica, rendendosi necessaria la “conoscibilità del fatto giuridicamente rilevante ai fini di un’azione risarcitoria” (cfr. SEZIONE GIUR. LOMBARDIA, SENT. N. 161 DEL 2014).

 

La giurisprudenza contabile, infatti, più volte confrontata con l’evocazione dell’art. 2126 c.c. da parte del convenuto che aveva ottenuto l’impiego attraverso la produzione di un falso titolo di studio, ha precisato che “al fine di giustificare il pagamento degli stipendi alla OMISSIS, non può farsi diretta applicazione dell’art. 36 Cost. nè dell’art. 2126 c.c., come richiesto dal difensore. Nella fattispecie, infatti, è stata raggiunta la prova che la percezione dei compensi è avvenuta in forza di atti illeciti di rilevanza penale ed è, quindi, esclusa la possibilità di riconoscere la spettanza di tali somme in favore della percipiente, alla quale, per costante insegnamento giurisprudenziale, poteva essere assicurata una particolare tutela soltanto in presenza di situazioni obiettive che avessero determinato in lei la 13 ragionevole convinzione che le somme pagate le fossero realmente dovute.

 

La giurisprudenza costituzionale, peraltro, ha elaborato il principio per cui l’illiceità, la quale, ai sensi dell’art. 2126, primo comma, del Codice civile, priva il lavoro prestato della tutela collegata al relativo rapporto in seguito a nullità o annullamento del rapporto di lavoro, va ravvisata nel contrasto con norme fondamentali e generali o con i principi basilari dell’ordinamento; la stessa giurisprudenza è categorica nell’affermare che l’art. 36 Cost., presuppone un rapporto di lavoro lecitamente instaurato (Corte cost., sent. 14-19 giugno 1990, n. 296).

 

 

 

 

 

Fonte: Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Campania
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