Parità di genere nelle Giunte e indifferenza di equilibrio: l’analisi dell’Avvocato Maurizio Lucca sulla recentissima giurisprudenza concernente le quote di genere.
Scopriamo dunque, attraverso questa carrellata normativa e giuridica quali sono le disposizioni in materia di quote di genere.
Si parte dai principi costituzionali per giungere alle regole del PNRR e si conclude con una panoramica su questione di genere e promozione delle quote rosa.
L’art. 51 Cost., richiamandosi sotto il profilo sostanziale al principio di eguaglianza, nell’accesso «agli uffici pubblici e alle cariche elettive» enuncia – con una “norma programmatica” – che «a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini» (introdotto in Costituzione dall’art. 1 della legge cost. n. 1 del 30 maggio 2003), esprimendo un principio di democrazia paritaria, contrario ad ogni atto discriminatorio fondato sul sesso (rectius genere), assicurando alle donne di accedere a condizioni di parità effettiva ai ruoli apicali del settore economico e politico, compresi tutti i processi decisionali pubblici.
Viene sancito il principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione, che costituisce una naturale declinazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 della Costituzione, rilevando che la norma fa riferimento alla «Repubblica», implicando che l’impegno per le “pari opportunità” riguarda e coinvolge tutti i soggetti dell’ordinamento costituzionale.
In questo senso, alcuni ritengono sia superata la questione del carattere precettivo o programmatico della disposizione, in quanto essa funge da un lato, da copertura costituzionale per gli interventi del legislatore in materia, lasciandolo libero di scegliere mezzi e modalità dell’intervento e dall’altro, impegna all’esercizio del potere amministrativo in senso conforme e, quindi, ad adottare ogni misura ritenuta necessaria ad eliminare gli ostacoli al principio di parità di accesso alle cariche elettive.
L’art. 51 della Costituzione ha, dunque, valore di norma immediatamente vincolante e come tale idonea a conformare ed indirizzare lo svolgimento della discrezionalità amministrativa ponendosi rispetto ad essa quale parametro di legittimità sostanziale [1].
L’esigenza di tale promozione ha spinto il legislatore ad intervenire nella disciplina elettorale con una serie di norme protese a rendere concrete le “pari opportunità”:
Leggendo gli atti della Camera dei Deputati (Parità di genere, 25 maggio 2021) si comprende che sono state poste come centrali, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) trasmesso dal Governo al Parlamento il 25 aprile 2021, «le questioni relative al superamento delle disparità di genere… Il Piano infatti, individua la Parità di genere come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano. L’’intero Piano dovrà inoltre essere valutato in un’ottica di gender mainstreaming».
Le considerazioni che precedono trovano una loro collocazione precisa nel TUEL (d.lgs. n. 267/2000):
Si comprende dal tracciato normativo che nel caso in cui lo statuto di un Comune, riconosca formalmente la rilevanza del principio della “pari opportunità”, quale principio fondamentale dell’ordinamento, deve ritenersi illegittimo il decreto di nomina degli assessori – tutti di sesso maschile – della Giunta municipale ove, da una parte, non emerga, dalla relativa motivazione, che sia stata compiuta la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, dall’altra, non sia stata esternata adeguata motivazione in ordine alle ragioni della mancata applicazione del principio delle “pari opportunità”, di cui all’art. 51 Cost. [2].
Ciò posto, la sez. I, del TAR Marche, con la sentenza 8 luglio 2021. n. 557, interviene in un caso concreto, ritenendo legittima la nomina di una sola donna (ovvero, solo uomo) nella Giunta regionale in relazione al potere discrezionale del Presidente che trova (per Statuto) solo un limite nel garantire “la rappresentanza di entrambi i sessi”, senza definire un quantum percentuale.
I motivi dei ricorrenti:
VIOLAZIONE:
BILANCIAMENTO DI GENERE:
Il Tribunale rigetta il ricorso secondo le seguenti motivazioni:
In definitiva, il legislatore regionale ha inteso garantire la presenza di genere senza effettuare alcuna valutazione ponderale tra i due sessi, ritenendo sufficiente (nell’esercizio della sua autonomia politica/legislativa) la loro presenza indipendentemente dalle quote percentuali: «è quindi garantita anche dalla presenza di una sola donna (o di un solo uomo)».
Vengono analizzati altri statuti regionali ove tale principio viene declinato in termini comparativi (quantitativi) e non solo sotto il profilo formale fermandosi a ritenere sufficiente la presenza di una sola componente dell’altro sesso: «La giustizia amministrativa che si occupò del caso Lombardia, ritenne che due soli assessori di genere (12,5%) non fossero sufficienti per “promuove il riequilibrio tra entrambi i generi”. Nella giunta regionale marchigiana un solo assessore di genere è invece sufficiente a garantire una quota maggiore (16,67%), pur a fronte di un vincolo che non impone l’equilibrio ma solo la rappresentatività».
Lo statuto regionale, in termini diversi, non affronta la questione sotto il profilo sostanziale limitandosi al profilo formale della presenza di genere, indipendentemente da ogni soglia o garanzia di equilibrio (aspetto qualitativo), mancando una norma che stabilisca quote minime di genere ma imponendo solo la rappresentatività, sicché non va nemmeno motivata la scelta di individuare un unico assessore di sesso diverso.
A ben vedere, se lo scopo delle norme costituzionali, e della relativa disciplina ordinaria, è quello di assicurare le c.d. “quote rosa”, appare evidente che la “promozione” non può limitarsi al dato formale della presenza pura e semplice del genere ma deve esprimere un dato qualitativo di rappresentanza che va necessariamente associato al dato quantitativo.
La tutela delle “pari opportunità” non può prescindere dal riequilibrio tra i generi nella composizione degli organi collegiali che ne costituiscono senz’altro espressione, dove – una volta garantito l’accesso – dovrà esserne garantita la composizione numerica: una percentuale che non può limitarsi alla mera presenza ma che tendenzialmente comporti la dimostrazione della parità di genere.
Pretendere di promuovere le «pari opportunità tra donne e uomini» e interpretare tale principio nella messa a disposizione di un solo posto per l’altro sesso, pur in presenza di una composizione numerica multipla, significa assecondare il valore etico dei diversi principi ad esso connesso, svilendo inesorabilmente il tessuto ordinamentale, eludendo la matrice di eguaglianza, specie in presenza di nomine politiche dove l’ethos ne caratterizza il fine, ed il fine non è discriminante per ragioni di sesso.
L’ordito normativo preclude che gli organi siano squilibrati nella rappresentanza di genere, assumendo un evidente deficit di rappresentanza democratica dell’articolata composizione del tessuto sociale e del corpo elettorale, risultando anche potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell’apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato [3].
L’equilibrio di genere, come parametro conformativo di legittimità sostanziale dell’azione amministrativa, nato nell’ottica dell’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale fra i sessi, viene così ad acquistare una ulteriore dimensione funzionale, collocandosi nell’ambito degli strumenti attuativi dei principi di cui all’art. 97 Cost.: il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa, dove l’equilibrata partecipazione di uomini e donne (col diverso patrimonio di umanità, sensibilità, approccio culturale e professionale che caratterizza i due generi) ai meccanismi decisionali e operativi di organismi esecutivi o di vertice diventa nuovo strumento di garanzia di funzionalità, maggiore produttività, ottimale perseguimento degli obiettivi, trasparenza ed imparzialità dell’azione pubblica [4].
In questo habitus mentale e giuridico non può ritenersi che il precesso sia assolto quando non viene raggiunto l’obiettivo programmato, quando la norma rimane vuota, quando la “parità di genere” non fa alcuna differenza e risulta del tutto avulsa dal contesto, indifferente al diritto, la presenza di entrambi i sessi senza alcuna tendenziale equivalenza se normativamente può essere immune da censura, di fatto non assolve il principio di riferimento, rimanendo un’espressione di intenti lodevoli ma inutili e lontani dal presente.
[1] TAR Campania, Napoli, sez. I, 7 giugno 2010, n. 12668.
[2] TAR Umbria, sez. I, 20 giugno 2012, n. 242. È illegittimo il provvedimento con cui il Sindaco di un Comune ha disposto la nomina di due nuovi assessori, senza tener conto di quanto previsto dall’art. 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014, ove non risulti alcuna istruttoria tesa a verificare l’impossibilità del rispetto della suddetta percentuale, né dall’atto sindacale di nomina si evinca una qualche ragione per la quale il Sindaco ha ritenuto di potersi discostare dal suddetto parametro normativo, Cons. Stato, sez. V, 5 ottobre 2015, n. 4626. È illegittimo, per omesso rispetto delle norme in materia di pari opportunità, il decreto del Sindaco di nomina degli assessori, tutti di sesso maschile, nel caso in cui non sia stata compiuta la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, a nulla rilevando il fatto che il Sindaco abbia ricevuto la rinuncia all’incarico di assessore da parte della consigliera comunale eletta nel seno della maggioranza, non potendo tale circostanza determinare da sola, in sostanza, l’esonero tout court del capo dell’Amministrazione comunale dall’obbligo di nomina di assessori di sesso femminile, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 9 gennaio 2015, n. 3.
[3] TAR Lazio, Roma, sez. II, 25 luglio 2011, n. 6673.
[4] TAR Lazio, Roma, sez. I, 22 aprile 2021, n. 4706.