Un’organizzazione funziona se ha un buon “capo”, cioè qualcuno che sa dirigerla in modo funzionale e sa guidare ogni componente verso la definizione di uno stile condiviso e concludente.
Perché è al capo che compete l’affermazione dei valori organizzativi e la loro promozione. È lui che, con il proprio comportamento, definisce ciò che è buono e deve essere replicato e ciò che non è funzionale e deve essere censurato.
Chi dirige un’organizzazione sa bene di trovarsi in una posizione di elevata visibilità a cui non è perdonato commettere errori e a cui è attribuita ogni responsabilità, nel bene e nel male. Anzi, maggiormente in occasione di insuccessi.
È per questa ragione che il capo ha l’onere di tenere salda l’organizzazione. Perché il capo è un contaminatore di stile, un portatore sano di “tratti” e “buone prassi”. È lui che determina il clima organizzativo, l’umore delle relazioni, la visione e le priorità: ciò che interessa al capo è la priorità assoluta e interessa tutti. E di contro, ciò che non interessa a chi dirige va in secondo piano.
Ma che succede se il capo manifesta interessi diversi rispetto alle priorità aziendali o persino in contrasto con i valori etici?
È vero che ogni capo contagia, come dimostrano le teorie sull’imprinting elaborate da Konrad Lorenz, ma c’è un livello sotto il quale non tutti sono disposti a scendere. Si verifica quindi una dinamica singolare:
Dirigere è dunque un’operazione che richiede un costante equilibrio tra l’etica e la pragmatica.
Se ci riferiamo alla teoria dell’imprinting, i cui primi studi risalgono a Konrad Lorenz, si comprende che, i soggetti di un contesto sono portati a identificarsi con la persona più importante. Ciò è confermato, qualche anno dopo da Berne che ispirò quello che sarà definito il “management transazionale”, cioè l’influenza del dirigente come “genitore” (nella triade insieme alle componenti del “bambino” e dell’”adulto”), inteso come soggetto di riferimento capace di generare valori, regole e stili che influenzano il comportamento di ciascuno che le recepisce e interpreta in relazione alla propria condizione personale (emotiva).
La scelta dei vertici, dunque, non è indifferente, così come è impensabile che il miglioramento e l’innovazione di un contesto organizzativo possano partire dal basso, se non vi è una convinta condivisione in chi lo presiede. Una buona amministrazione dovrebbe presidiare costantemente il comportamento dei propri vertici, per assicurare l’affermazione dei valori istituzionali, così come la giusta “contaminazione” nell’ambiente organizzativo, delle prassi funzionali e conformi ai principi della buona amministrazione.
Gli stili di direzione determinano il successo o il disastro delle organizzazioni e possono dipendere da diversi fattori:
Chi dirige un’organizzazione esprime almeno una di queste prospettive che definiscono il modo di interpretare il proprio ruolo e il modo di agire. Ma soprattutto ciò che per il capo è “prioritario” e contagia anche agli altri. Ai quali rimane il compito di imitare o di porre rimedio.