Talvolta verrebbe da credere che il burnout possa colpire solamente i docenti più attempati: quelli con un’anzianità di servizio di almeno 20/30 anni. Ebbene, le cose stanno diversamente, come ci testimonia la lettera della giovane Rosa.
L’usura psicofisica è determinata da un ampio numero di fattori di cui il numero di anni d’insegnamento rappresenta un’importante ma non certo l’esclusiva variabile. Ricordiamo solamente che alla qualità della vita professionale si accompagnano inoltre le variabili della vita extra-professionale e l’anamnesi familiare con le sue componenti genetiche. Rosa ci rammenta, in maniera dettagliata, gran parte della sintomatologia del malessere incipiente. Proviamo a far tesoro di quanto scrive la giovane maestra, provando a individuare possibili correttivi che sarebbe certamente più facile adottare se nelle scuole si attuasse un serio progetto di prevenzione dello Stress Lavoro Correlato. Mi domando sempre quanti sono infatti i docenti nelle condizioni di Rosa che, anziché condividere l’esperienza di disagio, si trovano ad attraversare in disarmante solitudine, e fin dall’inizio della loro carriera, questo mare tempestoso. Dopo la lettera seguono commenti e riflessioni.
Gentile dottore,
devo dire che quasi mi vergogno a scriverle … ho solo 26 e sono da 4 anni nella scuola, ovviamente da precaria. La mia amica dice che sto così solo perché ancora non ho una “mia” classe. In realtà quest’anno ce l’ho, visto che ho preso l’incarico. Solo che quando torno a casa non voglio parlare con nessuno, non voglio raccontare nulla di scuola, non voglio parlare di bambini, di urla, di compiti. Eppure mi sono laureata per fare la maestra (Scienze della formazione primaria), ma più vado avanti e più mi dico: questa non sono io. Io ho veramente tanta pazienza di spiegare le cose, di ascoltare, ma mi succedono cose che non riesco a spiegarmi, reazioni che non credevo di poter avere per un po’ di confusione in classe. Ho 2 classi (sono in un modulo) e in una va meglio che nell’altra, ma la situazione non cambia. A fine settimana mi rendo conto sempre che non ci sono giorni “buoni”, giorni in cui sono veramente soddisfatta di quello che faccio. Conto solo i giorni cattivi. Quest’anno mi sono iscritta di nuovo all’università (Laurea specialistica in pedagogia e scienze dell’educazione e della formazione alla Sapienza) e devo dire che mi ha risollevato parecchio. Ho un obiettivo nuovo … cercare di formarmi per fare qualcos’altro che non sia la maestra.
Ho letto l’articolo in cui lei parla di autodiagnosi e mi sono specchiata sorprendendomi di quante cose mi capitano davvero: 1) mi irrito di fronte a una situazione che solitamente mi lascia indifferente (quello che dicevo prima, mi rendo conto di non essere più io); 2) senso di rabbia, fallimento, colpa o vergogna (più rabbia che altro, i bambini mi sembra che qualcosa imparino! Anzi! Ho avuto genitori che mi hanno cercato pur di farmi seguire i loro figli a casa per quanto mi ritenevano capace); 3) incapacità a gestire il quotidiano; 4) crisi di panico e d’ansia (purtroppo sono ricominciati, mi sento il fiato corto, il cuore a mille e in più ho sfoghi – tipo eczemi – sulle mani); 5) disforia (a casa dicono che sembro esagerata, che rispondo male); 6) cinismo; apatia (la cosa più brutta è che mi capita anche con i bambini, mi rendo conto che non rido quasi mai); 7) facilità al pianto (il mio fidanzato non mi sopporta più, piango per qualsiasi cosa, mi sembro ridicola e non riesco a frenarmi); 8) scoppi e accessi d’ira (anche questo mi succede in classe davanti ai bambini); 9) perdita dell’autocritica e dell’autocontrollo (durante l’università avevo acquisito una capacità autocritica e di autocontrollo eccezionale, ora non ci riesco più); 10) trasandatezza nella cura personale (non mi va più di andare in palestra, preferisco stare sul divano – cavolo, io adoro andare in palestra …). Ecco questo è tutto … a casa non capiscono quello che mi sta succedendo, sento frasi del tipo: “con lo stipendio che prendi ti lamenti, hai mezza giornata libera, hai 3 mesi di vacanze, tanto cos’altro vuoi fare?”. Uffa, ancora con questa storia! Poi ci penso e ripenso ogni minuto. E’ diventata un’ossessione, e quello che mi fa più male è che il cervello va a mille e non riesco a trovare una soluzione.
Riflessioni e commenti
Conclusioni
Rosa ha tuttavia un grande vantaggio rispetto a molte sue colleghe che sono tuttora ignare del disagio che attraversano: la consapevolezza del malessere, della sua origine e delle sue manifestazioni. Attraverso la semplice lettura di un articolo questa giovane maestra è riuscita a comprendere le dinamiche di un male che affonda le sue radici nell’usura psicofisica della più importante tra le helping profession. Non riuscirà, come chiunque altro, a venirne a capo da sola, poiché nella condivisione tra colleghi, ed eventualmente col supporto di specialisti, troverà il bandolo della matassa.
Per prevenire lo Stress Lavoro Correlato negli insegnanti, la prima arma è pertanto rappresentata dall’informazione sui veri rischi professionali della categoria. Dunque occorre reagire, attrezzandosi all’uopo, piuttosto che subire passivamente le angherie di un’opinione pubblica che si alimenta dei soliti nefasti stereotipi.
Fonte: Orizzonte Scuola (www.orizzontescuola.it9 - articolo di Vittorio Lodolo D'Oria