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Il burnout colpisce sempre più anche i giovani insegnanti

lentepubblica.it • 26 Agosto 2015

burnout sindromeTalvolta verrebbe da credere che il burnout possa colpire solamente i docenti più attempati: quelli con un’anzianità di servizio di almeno 20/30 anni. Ebbene, le cose stanno diversamente, come ci testimonia la lettera della giovane Rosa.

 

L’usura psicofisica è determinata da un ampio numero di fattori di cui il numero di anni d’insegnamento rappresenta un’importante ma non certo l’esclusiva variabile. Ricordiamo solamente che alla qualità della vita professionale si accompagnano inoltre le variabili della vita extra-professionale e l’anamnesi familiare con le sue componenti genetiche. Rosa ci rammenta, in maniera dettagliata, gran parte della sintomatologia del malessere incipiente. Proviamo a far tesoro di quanto scrive la giovane maestra, provando a individuare possibili correttivi che sarebbe certamente più facile adottare se nelle scuole si attuasse un serio progetto di prevenzione dello Stress Lavoro Correlato. Mi domando sempre quanti sono infatti i docenti nelle condizioni di Rosa che, anziché condividere l’esperienza di disagio, si trovano ad attraversare in disarmante solitudine, e fin dall’inizio della loro carriera, questo mare tempestoso. Dopo la lettera seguono commenti e riflessioni.

 

Gentile dottore,

 

devo dire che quasi mi vergogno a scriverle … ho solo 26 e sono da 4 anni nella scuola, ovviamente da precaria. La mia amica dice che sto così solo perché ancora non ho una “mia” classe. In realtà quest’anno ce l’ho, visto che ho preso l’incarico. Solo che quando torno a casa non voglio parlare con nessuno, non voglio raccontare nulla di scuola, non voglio parlare di bambini, di urla, di compiti. Eppure mi sono laureata per fare la maestra (Scienze della formazione primaria), ma più vado avanti e più mi dico: questa non sono io. Io ho veramente tanta pazienza di spiegare le cose, di ascoltare, ma mi succedono cose che non riesco a spiegarmi, reazioni che non credevo di poter avere per un po’ di confusione in classe. Ho 2 classi (sono in un modulo) e in una va meglio che nell’altra, ma la situazione non cambia. A fine settimana mi rendo conto sempre che non ci sono giorni “buoni”, giorni in cui sono veramente soddisfatta di quello che faccio. Conto solo i giorni cattivi. Quest’anno mi sono iscritta di nuovo all’università (Laurea specialistica in pedagogia e scienze dell’educazione e della formazione alla Sapienza) e devo dire che mi ha risollevato parecchio. Ho un obiettivo nuovo … cercare di formarmi per fare qualcos’altro che non sia la maestra.

 

Ho letto l’articolo in cui lei parla di autodiagnosi e mi sono specchiata sorprendendomi di quante cose mi capitano davvero: 1) mi irrito di fronte a una situazione che solitamente mi lascia indifferente (quello che dicevo prima, mi rendo conto di non essere più io); 2) senso di rabbia, fallimento, colpa o vergogna (più rabbia che altro, i bambini mi sembra che qualcosa imparino! Anzi! Ho avuto genitori che mi hanno cercato pur di farmi seguire i loro figli a casa per quanto mi ritenevano capace); 3) incapacità a gestire il quotidiano; 4) crisi di panico e d’ansia (purtroppo sono ricominciati, mi sento il fiato corto, il cuore a mille e in più ho sfoghi – tipo eczemi – sulle mani); 5) disforia (a casa dicono che sembro esagerata, che rispondo male); 6) cinismo; apatia (la cosa più brutta è che mi capita anche con i bambini, mi rendo conto che non rido quasi mai); 7) facilità al pianto (il mio fidanzato non mi sopporta più, piango per qualsiasi cosa, mi sembro ridicola e non riesco a frenarmi); 8) scoppi e accessi d’ira (anche questo mi succede in classe davanti ai bambini); 9) perdita dell’autocritica e dell’autocontrollo (durante l’università avevo acquisito una capacità autocritica e di autocontrollo eccezionale, ora non ci riesco più); 10) trasandatezza nella cura personale (non mi va più di andare in palestra, preferisco stare sul divano – cavolo, io adoro andare in palestra …). Ecco questo è tutto … a casa non capiscono quello che mi sta succedendo, sento frasi del tipo: “con lo stipendio che prendi ti lamenti, hai mezza giornata libera, hai 3 mesi di vacanze, tanto cos’altro vuoi fare?”. Uffa, ancora con questa storia! Poi ci penso e ripenso ogni minuto. E’ diventata un’ossessione, e quello che mi fa più male è che il cervello va a mille e non riesco a trovare una soluzione.

 

Riflessioni e commenti

 

  • L’esperienza di Rosa lascia intendere che il burnout può insorgere anche da precari dopo pochi anni d’insegnamento. Tanto maggiori sono le aspettative e gli investimenti nel lavoro, tanto prima insorge il disagio mentale se i frutti raccolti non risultano essere proporzionati alla semina. Rosa crede (anzi credeva) nel suo lavoro, ma ora prova un incoercibile disgusto per tutto ciò che riguarda i bambini: siamo passati in breve da una totale condizione di empatia a una situazione di apatia. Quest’ultima è la tipica reazione dovuta al rifiuto della relazione con l’altro (cioè l’alunno) in quanto fattore determinante il disagio.

 

  • Rosa intuisce che deve riorientare le proprie energie alla ricerca di nuovi interessi (un nuovo corso di laurea) per trovare salvifiche soddisfazioni. Questo diversivo è utile per ristabilire un equilibrio interiore, tuttavia lascia irrisolto il problema centrale che dovrà essere affrontato.

 

  • Tra i motivi centrali del disagio mentale professionale di Rosa potrebbe esserci quella che lo psicologo americano Farber negli insegnanti definisce come “componente onirica smisurata”. Molto probabilmente la maestra ha un’idea della realtà non corrispondente al vero. A tal proposito viene in mente l’analogia tra i giovani docenti e i ragazzi liceali che nella I Guerra Mondiale vengono mandati allo sbaraglio al fronte senza esperienza ma ricchi di entusiasmo come descritti nel testo di Erich Maria Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

 

  • Il malessere investe tutta la persona, non limitandosi al livello professionale. La dinamica è esattamente speculare quando la crisi ha origine in ambiente extraprofessionale: deborda e sconfina anche negli altri ambiti, tra cui quello lavorativo. Ecco perché la definizione di Stress Lavoro Correlato non può essere quella di “stress maturato sul lavoro”, ma “stress manifestato sul lavoro a prescindere dall’ambito in cui lo stesso è originato”. Ne discende che Rosa diventerà più isolata e scontrosa in famiglia, avrà problemi relazionali col fidanzato e non riuscirà più a godere delle cose che era solita fare nel tempo libero (palestra).

 

  • Ed ecco ancora una volta comparire gli immarcescibili e sempreverdi stereotipi che mietono vittime senza sosta: inducono gli insegnanti a vergognarsi del loro disagio da usura psicofisica anziché a condividerlo. Inoltre rendono impossibile tra l’opinione pubblica il riconoscimento delle patologie psichiatriche quali malattie professionali dei docenti. Imparino tutti gli insegnanti a rispondere a tono: quella dei docenti non è vacanza ma convalescenza!

 

Conclusioni

 

Rosa ha tuttavia un grande vantaggio rispetto a molte sue colleghe che sono tuttora ignare del disagio che attraversano: la consapevolezza del malessere, della sua origine e delle sue manifestazioni. Attraverso la semplice lettura di un articolo questa giovane maestra è riuscita a comprendere le dinamiche di un male che affonda le sue radici nell’usura psicofisica della più importante tra le helping profession. Non riuscirà, come chiunque altro, a venirne a capo da sola, poiché nella condivisione tra colleghi, ed eventualmente col supporto di specialisti, troverà il bandolo della matassa.

 

Per prevenire lo Stress Lavoro Correlato negli insegnanti, la prima arma è pertanto rappresentata dall’informazione sui veri rischi professionali della categoria. Dunque occorre reagire, attrezzandosi all’uopo, piuttosto che subire passivamente le angherie di un’opinione pubblica che si alimenta dei soliti nefasti stereotipi.

Fonte: Orizzonte Scuola (www.orizzontescuola.it9 - articolo di Vittorio Lodolo D'Oria
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