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Le informazioni bancarie sono valide contro l’evasione fiscale

lentepubblica.it • 4 Maggio 2015

miliardi, pugliaUtilizzabili i dati acquisiti dal dipendente infedele di un istituto di credito sui conti dei clienti, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso.

 

L’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento dell’evasione fiscale può – in linea di principio – avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dall’Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente.

 

Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco).

 

Spetterà, quindi, al giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del ricorrente.

 

A sancirlo è la Cassazione con le ordinanze 8605 e 8606 del 28 aprile 2015.

 

A tal proposito la Corte sottolinea che la lista fornita da un dipendente infedele di una banca rappresenta un indizio idoneo a giustificare le riprese fiscali, ricordando il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità per cui “in linea di principio gli elementi idonei a consentire al giudice di trarre la prova di un fatto in via presuntiva ai sensi dell’art. 2729 c.c. non devono necessariamente essere più di uno nonostante la previsione del requisito della concordanza contenuto in tale norma, valendo questa solo nell’ipotesi in cui concorrano più elementi e potendo quindi anche uno solo di essi essere assunto a base purché grave e preciso.

 

La presunzione semplice del resto non è altro che un procedimento logico da cui il giudice desume l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto sul presupposto di una loro successione nella normalità dei casi. E’ evidente pertanto che anche un solo fatto, qualora presenti i suddetti requisiti, possa essere idoneo per una tale deduzione e costituire quindi la fonte della presunzione (cfr Cassazione, pronunce 4472/2003, 12671/2005, 22122/2010).

 

È interessante, inoltre, il fatto che la Corte abbia escluso il diritto al contraddittorio preventivo del contribuente nell’ambito della procedura di cooperazione tra Stati membri.

 

Al riguardo, ha ricordato che “la Corte Ue con la sentenza nella causa C-276/12 del 22 ottobre 2013, ha chiarito che il diritto dell’Unione, quale risulta in particolare dalla direttiva 77/799/CEE e dal diritto fondamentale al contraddittorio deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato a un altro Stato membro al fine, in particolare, di verificare i dati forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei redditi, né il diritto di partecipare alla formulazione della domanda indirizzata allo Stato membro richiesto né il diritto di partecipare alle audizioni di testimoni organizzate da quest’ultimo Stato”.

 

Le due pronunce in argomento confermano la posizione dell’Amministrazione finanziaria che rispecchia il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in assenza di una norma generale sull’inutilizzabilità in ambito tributario, eventuali illegittimità nelle procedure di acquisizione della documentazione non si riverberano sulla legittimità dell’atto tributario, salvo che:

 

– l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di una norma tributaria, che sanziona la propria violazione con l’inutilizzabilità della documentazione medesima

 

– l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di un diritto fondamentale di rango costituzionale.

 

Con riferimento a quest’ultimo profilo, la Cassazione ha chiarito che la sanzione dell’inutilizzabilità opera per ragioni di tutela di diritti fondamentali di rilievo costituzionale, “quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.; non è invece invocabile, nella fase amministrativa di accertamento, la tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost.” (Cassazione, 24923/2011).

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Francesco Brandi
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