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Stipendio di un Italiano in Francia: interessa anche al nostro Fisco

lentepubblica.it • 30 Agosto 2018

stipendio-italiano-francia-fiscoLo stipendio made in Francia interessa anche al Fisco italiano. Il contribuente residente deve inserire in dichiarazione le retribuzioni percepite e tassate oltralpe. Il meccanismo del credito d’imposta estero è la soluzione alla doppia imposizione.


La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 20291 del 31 luglio 2018, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate, precisando che i redditi di lavoro dipendente derivanti da attività lavorativa prestata in Francia da un contribuente residente devono essere dichiarati anche in Italia.

 

Al contribuente, comunque, spetta il riconoscimento del credito per le imposte pagate all’estero, da richiedere, a pena di decadenza, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui le stesse sono state pagate a titolo definitivo

 

Il caso e la pronuncia della Cassazione

 

La vicenda processuale trae origine dal ricorso del contribuente avverso gli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2003 e 2004, con i quali l’ufficio aveva recuperato a tassazione il reddito che il soggetto aveva percepito per l’attività di lavoro dipendente svolta all’estero, precisamente in Francia. In particolare, la tesi del contribuente, respinta in primo grado e accolta dai giudici di seconde cure, mirava all’annullamento degli avvisi di accertamento in virtù del fatto che i redditi recuperati dall’Amministrazione finanziaria erano già stati sottoposti a tassazione dalla Francia e, pertanto, ad avviso del contribuente, nulla era dovuto al Fisco italiano.

 

Nello specifico, la Ctr del Piemonte stabiliva che “i maggiori redditi rilevati dagli avvisi di accertamento sono stati regolarmente sottoposti a tassazione dallo stato francese e quindi la questione attiene unicamente alla loro mancata esposizione nella dichiarazione dei redditi nazionali ed i conseguenti effetti sull’imponibile tassabile per gli anni in esame”. Di conseguenza, ha escluso che il contribuente possa essere qualificato un lavoratore transfrontaliero e, ritenendo applicabile al caso in esame l’articolo 16 della convenzione Italia-Francia, ha concluso per l’illegittimità degli avvisi di accertamento poiché i redditi non dichiarati dal contribuente erano imponibili in Francia.

 

L’Agenzia delle entrate, attraverso il ricorso in Cassazione, ha rilevato che la ripresa a tassazione è corretta perché il dirigente, sebbene avesse subito le ritenute da parte del fisco francese, era tenuto a indicare il reddito estero nella propria dichiarazione dei redditi in quanto residente in Italia.

 

L’ufficio ha ritenuto applicabile al caso in esame l’articolo 15, paragrafo 4, della già citata convenzione, riguardante la qualifica di lavoratore transfrontaliere, che prevede l’imposizione “esclusiva” nel paese di residenza. Tuttavia, l’eventuale applicabilità dell’articolo 16, richiamato dal contribuente, non esclude l’obbligo, per quest’ultimo, della dichiarazione dei redditi nazionale. Infatti, quest’ultima previsione normativa stabilisce, comunque, una tassazione concorrente tra i due Stati (nella norma pattizia non è presente l’uso dell’avverbio “soltanto” che indica un regime di tassazione esclusiva in un solo Stato).

 

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’ufficio illustrando la normativa di riferimento ovvero l’articolo 3 del Tuir, nonché gli articoli 15, 16 e 24 della convenzione Italia-Francia e stabilendo che nel caso di specie “in forza dell’art. 3, comma 1, TUIR …….in generale tutti i redditi da lavoro dipendente percepiti da soggetti residenti, anche per prestazioni rese all’estero, sono sempre assoggettabili a tassazione in Italia; inoltre, l’art. 165 (prima art. 15) del TUIR prevede che il contribuente possa recuperare le imposte pagate all’estero, a titolo definitivo, sui redditi ivi prodotti attraverso lo strumento del credito d’imposta, da esercitare nelle forme e nei termini ivi previsti”.

 

Ulteriori osservazioni

 

Il fenomeno della doppia imposizione fiscale si realizza laddove un contribuente residente in uno Stato percepisca redditi imponibili in un altro Paese. Per governare la sovrapposizione delle pretese fiscali di due diversi Stati ed evitare la duplice tassazione, è necessario far ricorso, ove esistenti, alle convenzioni bilaterali (“convenzioni contro le doppie imposizioni”).

 

Detti accordi vengono stipulati prendendo a riferimento un modello di convenzione predisposto per la prima volta dall’Ocse nel 1963 e poi periodicamente aggiornato. Di fatto, le norme contro le doppie imposizioni hanno lo scopo di mitigare la tassazione del reddito conseguito dal soggetto all’estero, mediante una delle seguenti alternative:

 

  • il riconoscimento di una deduzione dal reddito imponibile complessivo dell’imposta pagata all’estero
  • il riconoscimento dell’esenzione a tutto il reddito prodotto all’estero, mediante la sua esclusione dalla base imponibile
  • l’attribuzione di un credito per le imposte pagate all’estero, in modo che il contribuente possa detrarre l’imposta pagata all’estero da quella calcolata sul reddito complessivo dichiarato in Italia.

 

La normativa italiana prevede l’ultimo dei metodi sopra descritti, in quanto consente la detrazione delle imposte assolte all’estero dall’imposta dovuta complessivamente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi. La detrazione di imposta deve essere, quindi, richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo. Tale regola è stata meglio precisata nel comma 4 dell’articolo 165, prevedendo che la “detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta estera a condizione che il pagamento di detta imposta estera a titolo definitivo avvenga prima della presentazione della dichiarazione dei redditi italiana”.

 

In tal senso è intervenuta l’ordinanza della Corte di cassazione in questione, secondo la quale “il reddito percepito in Francia dal soggetto residente in Italia, quale dirigente di società di diritto francese, reddito pacificamente già tassato in Francia, attraverso il meccanismo delle ritenute alla fonte, deve essere dichiarato anche in Italia, con la possibilità per il contribuente di portare a detrazione le imposte pagate all’erario dell’altro Stato, e con la conseguente legittimità, in mancanza di riscontro nella dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente per quell’anno, del recupero a tassazione”.

 

Da ciò discende la legittimità degli avvisi di accertamento, in quanto il contribuente, nelle proprie dichiarazioni dei redditi, non ha indicato i redditi percepiti all’estero.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Ivano Cosimo Epifani e Vincenzo Portacci
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