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Politiche per l’istruzione. Proposte dall’Anquap

lentepubblica.it • 12 Marzo 2014

Con la costituzione del Governo Renzi, che ha ottenuto la fiducia delle Assemblee Parlamentari, prende avvio l’azione del nuovo esecutivo (il secondo della corrente legislatura), che tra le tante questioni all’ordine
del giorno dovrà necessariamente affrontare anche quelle concernenti l’istruzione. Su questo tema il Presidente del Consiglio ha soffermato la sua attenzione nell’intervento programmatico svolto al Senato
della Repubblica ed alla Camera dei Deputati, con particolare riferimento all’edilizia scolastica e alla rivalutazione di ruolo del personale della scuola.
Su tale argomento, l’Associazione scrivente, che rappresenta in modo rilevante i Direttori SGA e gli Assistenti Amministrativi delle Istituzioni Scolastiche ed Educative, ritiene utile portare all’attenzione del
Governo e del Ministro competente le proprie proposte; proposte, schematicamente esposte, riguardanti diversi aspetti: da quello istituzionale a quello organizzativo e finanziario, da quello didattico a quello di status del personale.

Sul versante istituzionale (con una visione che va oltre l’istruzione) si ritiene necessario:
‐ riscrivere il titolo V della Costituzione per delimitare puntualmente gli ambiti di legislazione tra Stato e
Regioni ed anche quelli amministrativi tra Stato, Regioni ed Enti Locali. Procedere all’abolizione delle
Province (quanto meno ad una loro riduzione), con conseguente assegnazione dei relativi compiti a
Regioni e Comuni. Unire i Comuni sotto i 5.000 abitanti, magari mantenendo le municipalità. Il livello
comunale non può rimanere nelle attuali condizioni, poiché la polverizzazione in tanti piccoli Comuni
non consente una corretta azione di governo e di gestione;
‐ assegnare allo Stato la potestà di interventi sostitutivi nei casi di ritardo e/o inadempienze degli Enti
Territoriali;
‐ riconoscere formalmente l’Associazionismo delle Scuole a livello nazionale e regionale (come quello dei
comuni) assegnando alle scuole stesse un ruolo di interlocuzione ufficiale sugli atti fondamentali di
programmazione e indirizzo, riguardanti l’istruzione;
‐ mantenere (anzi rafforzare) l’autonomia scolastica nel contesto del dettato costituzionale, preservando
le funzioni di esclusiva competenza delle scuole da indebite ingerenze di altri soggetti pubblici. Sarebbe
utile che sull’autonomia scolastica si relazionasse al Parlamento, con riferimento ai risultati conseguiti
(e alle criticità presenti), come prescritto dall’art. 21 comma 19 della Legge 59/97 (norma mai sinora
rispettata da nessuno dei Ministri che si sono succeduti a Viale Trastevere dal 1° settembre 2000);
‐ conferire alle Scuole poteri statutari e regolamentari aventi valenza esterna;
‐ pervenire con la massima urgenza alla riforma dei livelli di governo del sistema istruzione, con
particolare attenzione a quello delle singole scuole. L’organo collegiale di governo delle scuole (molto
snello) deve essere distinto dagli organi di gestione ed aperto al contesto esterno. Quanto previsto dai
Decreti Delegati del 1974 – figli dell’assemblearismo del tempo – è ormai del tutto inadeguato e deve
essere rivisto.

Sul versante organizzativo e finanziario vi è bisogno:
‐ di un dimensionamento adeguato delle Istituzioni Scolastiche con una definizione destinata a durare nel
tempo. Una media di 900/1.000 alunni, su base regionale, per avere una scuola autonoma è criterio di
obiettiva ragionevolezza. Nel corrente anno scolastico la media del rapporto alunni (7.878.661. unità) e
numero delle scuole autonome (8.644 unità, comprese quelle di lingua slovena) è pari a 911 unità per
ogni scuola. Si potrebbe compiere un sforzo ulteriore di razionalizzazione, ma il livello raggiunto è già
significativamente importante. Si tenga conto che quando è partita l’autonomia scolastica (01.09.2000)
il numero delle Istituzioni Scolastiche era pari a 10.805 unità ed oggi siamo scesi a 8.644 unità (meno
2.161 unità ovvero il 20%) . Il processo decisionale sull’argomento non può essere lasciato al “libero
arbitrio” degli enti territoriali. Se questi non provvedono, lo Stato deve intervenire e le indicate
modifiche al Titolo V della Costituzione debbono andare in questa direzione;
‐ che ad ogni scuola autonoma sia assegnato un Dirigente e un Direttore in via esclusiva, superando
l’assurda condizione di due scuole rette da un Dirigente e da un Direttore. Chi ha scritto la regola vigente
sull’argomento non conosce le scuole, non si rende conto del loro grado di complessità gestionale e
dell’esigenza di una presenza costante delle citate figure apicali;
‐ di favorire la realizzazione, anche con incentivi finanziari, di reti di scuole per adempimenti e attività;
‐ che sia ulteriormente consolidato il modello degli Istituti Comprensivi, per favorire la continuità
didattica ed anche economie generali di spesa;
‐ di un piano pluriennale straordinario per l’edilizia scolastica, al fine di rendere gli edifici sicuri e
funzionali alla destinazione cui sono preposti. Qualcosa si è fatto, le risorse finanziarie disponibili in
parte esistono ma assurdi vincoli burocratici hanno sin qui determinato una scarsa produzione di
risultati. La progettazione e realizzazione di nuovi edifici, o la ristrutturazione di quelli esistenti deve
avvenire coinvolgendo le Istituzioni Scolastiche, anche per superare l’inadeguata organizzazione di spazi
misurata quasi esclusivamente sulla “rigidità” delle classi;
‐ che siano resi effettivi e cogenti gli oneri di spettanza degli Enti Locali nei confronti delle scuole.
L’eventuale trasferimento degli oneri direttamente alle Scuole può avvenire solo con il consenso
espresso e formale delle stesse e non con atto d’imperio delle autonomie politiche. In alternativa si
potrebbero assegnare alle scuole autonome tutti gli oneri, con conseguenti poteri risorse e
responsabilità;
‐ di riscrivere integralmente il regolamento di contabilità (ex D.I. 44/01), introducendo la contabilità
economica, l’obbligo del bilancio sociale ed escludendo le Istituzioni Scolastiche ed Educative dalla
tesoreria unica;
‐ che sia assicurata una dotazione finanziaria adeguata allo svolgimento delle funzioni e delle attività,
anche attraverso un congruo rifinanziamento della Legge 440/97 sull’ampliamento dell’offerta
formativa;
‐ di prevedere finanziamenti appositi per spese in conto capitale (finanziamenti assenti da anni), da
assegnare sulla base di specifici e qualificati progetti per investimenti strategici riguardanti laboratori,
attrezzature, apparecchiature e sussidi, nonché soluzioni tecnologiche integrate per la scuola digitale
(anche sul versante amministrativo);
‐ che sia prevista la possibilità di destinazione del cinque per mille anche per le Istituzioni Scolastiche.

Sul versante didattico sarebbe utile arrivare ad una conclusione degli studi al diciottesimo anno di età,
riducendo di un anno il percorso del secondo ciclo. È, inoltre, indispensabile chiarire i rapporti tra istruzione
e formazione professionale, nonché puntare decisamente sugli Istituti Tecnici Superiori quale modello
professionalizzante alternativo ai percorsi universitari. Il raccordo tra istruzione, formazione, mondo del
lavoro e sistema delle imprese è necessario se si vuole favorire l’occupazione. È indispensabile, inoltre,
stabilire un raccordo funzionale tra primo e secondo ciclo e svolgere un’attività mirata di orientamento
nella scelta dei percorsi di studio, anche quelli universitari.

Sul versante, infine, dello status del personale sono urgenti i seguenti interventi:
‐ una nuova politica del reclutamento, in buona parte da assegnare alle singole scuole o a reti omogenee
delle scuole stesse;
‐ un piano pluriennale di assunzioni a tempo indeterminato. Quello del triennio 2011/2014 ha funzionato
solo in parte, penalizzando alcuni profili professionali del personale ATA ( Direttori SGA, Assistenti
Amministrativi e Tecnici);
‐ il concorso per titoli ed esami, su base regionale deve essere particolarmente selettivo per i Dirigenti
Scolastici e i Direttori SGA. Per i Dirigenti qualcosa si è fatto, mentre per i Direttori siamo all’anno zero,
nonostante la Presidenza del Consiglio dei Ministri abbia autorizzato un concorso per 450 unità già dal
21 aprile 2011 (un ritardo assurdo e incomprensibile su cui pesa l’inconcludenza delle burocrazie
ministeriali);
‐ la ripresa della contrattazione collettiva nazionale di lavoro in tutto il pubblico impiego. I pubblici
dipendenti hanno già contribuito in modo significativo al risanamento della spesa pubblica anche in
termini di consistenti riduzioni di organico che hanno riguardato soprattutto il comparto scuola (vedi gli
effetti dell’art. 64 Legge 133/2008);
‐ una radicale revisione del sistema di classificazione e dei profili professionali del personale ATA. Quelli
esistenti non corrispondono più alla realtà delle cose e mortificano in particolare la professionalità degli
Assistenti Amministrativi, per i quali andrebbe definito un ruolo formale ed effettivo di Responsabili
Amministrativi;
‐ una vera carriera per il personale Docente, con l’introduzione delle figure di sistema;
‐ una contrattualizzazione apposita per il rapporto di lavoro dei Direttori SGA: fuori dal Comparto e in
separata sezione dell’Area dei Dirigenti Scolastici;
‐ il superamento dei CO.CO.CO. nelle segreterie scolastiche e dei servizi di pulizia e altri ausiliari affidati
all’esterno. Si tratta di soluzioni improvvide e costose ereditate nel 2000 dagli Enti Locali e
colpevolmente mantenute. Tornare alle assunzioni dirette di personale dipendente aumenterebbe
l’occupazione, diminuirebbe i costi e renderebbe più funzionali i servizi;
‐ una politica retributiva – stabilita nel CCNL e in un solo contratto integrativo – che si caratterizzi in modo
significativo sul piano della premialità e produttività. Gli automatismi salvaguardano il potere d’acquisto
(almeno in parte) ma non aiutano a riconoscere le prestazioni effettive che consentono di conseguire
risultati e fanno la differenza. Questo tipo di retribuzione dovrebbe avere dei vantaggi fiscali, come già
avviene nel settore privato. Nell’ambito della politica retributiva occorre rivedere la disciplina per
indennità di funzioni superiori da riconoscere al docente che sostituisce il Dirigente e all’Assistente
Amministrativo che sostituisce il Direttore. Una particolare attenzione deve essere prestata
all’Assistente Amministrativo facente funzioni di Direttore SGA per l’intero anno scolastico (e per periodi
medio-lunghi). È assurda (probabilmente incostituzionale) la disciplina contenuta nella legge di stabilità
2013 che in determinate situazioni porta addirittura l’Assistente che sostituisce il Direttore ad una
differenza di retribuzione negativa (chi è nelle posizioni stipendiali più alte, percepisce la prima o la
seconda posizione economia guadagna di più da Assistente che come Direttore);
‐ occorre infine (ma non da ultimo) dare attuazione a quanto previsto dalla legge di stabilità 2012 per
definire l’indennità mensile spettante ai Direttori SGA che sono obbligati a lavorare su due scuole
(incarico aggiuntivo o assegnazione). La reggenza ai Dirigenti viene correttamente retribuita, mentre
l’indennità dei Direttori deve essere ancora definita a distanza di oltre diciotto mesi dall’esercizio delle
funzioni (1° settembre 2012). Un ritardo colpevolmente inaccettabile che deve essere con urgenza
recuperato.

Le proposte che precedono non sono complete ed esaustive e risentono di una visione certamente parziale,
ma costituiscono utili contributi e spunti per chi – detentore del potere decisionale – ha orecchie per sentire
e volontà di cambiare in meglio le condizioni dell’istruzione, nell’interesse del sistema Italia e della sua
collocazione in Europa e nel mondo.

Presidente Giorgio Germani

FONTE: Anquap (Associazione nazionale quadri delle Amministrazioni Pubbliche)

istruzione

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