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Autonomia differenziata: una prima riflessione sulle 9 materie che possono essere trasferite senza l’approvazione dei LEP

lentepubblica.it • 23 Aprile 2024

materie che possono essere trasferite senza l’approvazione dei LEP autonomia differenziata

Ecco un’importante riflessione del Dott. Fabio Ascenzi sulle 9 materie che potranno essere trasferite senza l’approvazione dei LEP con l’Autonomia differenziata. 


Il Disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata sta proseguendo il suo iter di discussione alla Camera dei deputati, dopo aver ottenuto l’approvazione in prima lettura al Senato.

È indubbio che tra i numerosi punti di delicatezza, ne ho parlato in diversi articoli su questo sito, vi sia la definizione e il finanziamento dei cosiddetti LEP, ossia i Livelli Essenziali delle Prestazioni che la nostra Costituzione pretende garantiti uguali su tutto il territorio nazionale.

Durante la discussione in Senato è stato approvato un emendamento, presentato da alcune forze politiche della stessa maggioranza di Governo, con il quale si prevede che non si potrà procedere alla concessione dell’autonomia alle Regioni richiedenti se prima non ci sia stato il finanziamento dei LEP sulle relative materie.

Bene, è un buon passo in avanti rispetto alle criticità da più parti sollevate, anche se sarebbe utile conoscere con quali risorse si vorrebbero finanziare i suddetti livelli, considerato l’impatto economico che ne è stato calcolato, nonché il presupposto dell’invarianza finanziaria contenuto nel disegno di legge attualmente in esame. Il tema richiederebbe una disamina più approfondita, ma ci sarà tempo per tornarvi sopra.

Materie che possono essere trasferite senza l’approvazione dei LEP: l’impatto dell’Autonomia differenziata

Al momento, invece, ritengo più urgente soffermarsi su cosa potrebbe succedere per le materie che la Commissione presieduta dal Prof. Cassese ha escluso dalla necessità di essere sottoposte a LEP, e pertanto immediatamente attribuibili alle Regioni che ne volessero fare richiesta.

Innanzitutto, va ricordato che le materie su cui potenzialmente può essere chiesta l’autonomia assommano a 23. Infatti, l’art. 116 Cost., terzo comma consente ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia per le 20 di legislazione concorrente, elencate all’art. 117 Cost., terzo comma. A queste se ne aggiungono poi ulteriori 3, elencate alle lettere l) n) s) dell’art. 117 Cost., secondo comma, che pur essendo di legislazione esclusiva dello Stato possono essere attribuite alle Regioni con legge. Alcuni studi hanno evidenziato che ne seguirebbero almeno 500 funzioni.

Tra queste 23 materie, 9 sono state ritenute dalla Commissione Cassese non-leppizabili, cioè non vincolate al finanziamento dei LEP, e pertanto immediatamente trasferibili.

Per comprendere bene l’impatto che una tale evenienza potrebbe avere sull’impianto generale del riparto StatoRegioni vediamone l’oggetto e il numero delle funzioni che si porterebbero dietro: rapporti internazionali e con l’Unione europea (16 funzioni); commercio con l’estero (21 funzioni); professioni (55 funzioni); protezione civile (41 funzioni); previdenza complementare e integrativa (18 funzioni); coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (8 funzioni); casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale (18 funzioni); enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale (18 funzioni); organizzazione della giustizia di pace (7 funzioni).

Quindi, 9 materie che a loro volta potrebbero comportare il trasferimento di ben 184 funzioni. Alle quali poi se ne potrebbero aggiungere ulteriori, atteso che anche all’interno delle restanti 14 materie-LEP vi sono funzioni non-LEP di importanza tutt’altro che secondaria, quali la contrattazione integrativa e la retribuzione in ambiti come la scuola e la sanità. Un’eventualità alquanto rischiosa, poiché tutto ciò avverrebbe senza che ne sia prevista alcuna valutazione preliminare sull’impatto e sull’effettiva utilità del suddetto trasferimento; oltreché, è bene ricordarlo ancora una volta, senza che vi sia l’obbligo di stabilire livelli essenziali uguali per tutti i cittadini della Repubblica.

Da più parti si è avanzata la preoccupazione che l’attribuzione di un siffatto numero di materie e funzioni alle Regioni richiedenti potrebbe condurre al rischio di una babele normativa senza precedenti. A quel punto, infatti, nulla escluderebbe che ognuna potrà realizzare una propria normativa di settore; anzi, se si volesse dare un senso alla richiesta avanzata ne dovrebbe essere la prima conseguenza.

Autonomia differenziata: le possibile conseguenze sul Paese

Tra le materie sopra elencate ce ne sono diverse fortemente impattanti sul sistema produttivo. Si immagini innestato su queste un complesso di norme, regolamenti, albi professionali completamente diversi tra le differenti parti del nostro territorio. O ancora la possibilità che certe Regioni potrebbero decidere di trasferire alcune di queste funzioni agli Enti locali mentre altre no, venendosi così a creare un’ulteriore differenziazione de facto e diseguaglianza tra enti dello stesso livello, che si troverebbero a gestire competenze amministrative dissimili a seconda del territorio dove insistono.

Si parla tanto di semplificazione, della burocrazia come principale freno allo sviluppo territoriale. A volte, forse, in maniera esagerata, altre a ragione. L’Italia, infatti, è un Paese che già presenta diversi organi di governo, che spesso vanno a sommarsi nelle competenze, quando non a sovrapporsi, rendendo complicata la vita a imprese e cittadini che vogliano intraprendere una qualsiasi attività.

Nell’ipotesi della realizzazione dell’autonomia differenziata, o anche a seguito di un’attribuzione limitata a queste materie immediatamente conferibili, un’impresa nazionale o internazionale che volesse presentare un investimento su più parti del territorio si troverebbe ad avere normative completamente differenti a seconda della Regione interessata. Tale preoccupazione è stata ribadita anche dalla Banca d’Italia che, nella Memoria consegnata nell’ambito delle audizioni in seno alla I Commissione della Camera dei deputati lo scorso 27 marzo, ha affermato: «Oltre ai costi e ai benefici del decentramento in sé, occorre considerare quali potrebbero essere le conseguenze di un assetto asimmetrico: da un lato la differenziazione delle competenze potrebbe opportunamente riflettere fattori di contesto locali (come le diverse capacità amministrative), dall’altro potrebbe ridurre la trasparenza delle politiche pubbliche per i cittadini, accrescendone i costi di coordinamento e indebolendo l’accountability dei diversi livelli di governo. Una cornice normativa più articolata e disomogenea sul territorio potrebbe inoltre rendere più difficoltosa l’attività delle imprese operanti su scala sovraregionale (che dovrebbero adeguarsi a quadri regolamentari potenzialmente molto diversi) e incidere sulla distribuzione geografica delle attività produttive o sulla mobilità dei lavoratori».

Considerazioni analoghe vengono riportate nel report L’Italia al bivio tra riforma dello stato e autonomia differenziata. A che punto siamo?, presentato il 25 marzo dalla Fondazione Mezzogiorno, costituita da imprese locali, nazionali, internazionali e da associazioni di rappresentanza: «Tra le attività statali regionalizzabili, se ne segnalano alcune che appaiono particolarmente rilevanti per impatto potenziale diretto o indiretto sull’organizzazione del sistema produttivo, a causa del moltiplicarsi in ciascun territorio di norme, regolamenti, albi professionali e del frazionamento delle politiche di sviluppo o di sostegno nazionali».

Continuare a sottovalutare rilievi di tale portata, tra l’altro sempre più numerosi e trasversali nel dibattito in corso, risulta davvero indecifrabile. Infatti, se anche si volessero ignorare gli effetti prodotti su divari e diseguaglianze già esistenti tra le diverse aree del nostro Paese (sic!), è difficile non scorgerne le conseguenze che potrebbero produrre sulla tenuta dei conti pubblici e sul rapporto deficit-pil, con tutti i rischi annessi e connessi per la competitività del nostro sistema-Paese, non più riducibile a un contesto di concorrenza interna ma oramai necessariamente proiettato in uno scenario europeo e mondiale.

Fonte: articolo del Dott. Fabio Ascenzi
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