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Il linguaggio normativo in Italia: troppe parole straniere e un italiano troppo ostico?

lentepubblica.it • 29 Aprile 2024

linguaggio-normativo-parole-straniereLa questione dell’utilizzo delle parole straniere, o “prestiti linguistici”, nel linguaggio normativo è sempre stata oggetto di accesi dibattiti: ma qual è la vera natura delle criticità, l’uso eccessivo dei troppi “anglicismi” e un pessimo utilizzo della lingua italiana?


La questione dell’influenza delle lingue straniere, soprattutto dell’inglese, sull’italiano è oggetto di dibattito ricorrente. Questa discussione suscita appassionate argomentazioni tra due posizioni opposte e ben distinte.

Da una parte si trovano coloro che accolgono senza riserve ogni influsso estero, spesso percependo l’adozione di parole straniere come un segno di modernità e globalizzazione. Questi individui tendono a vedere gli anglicismi come inevitabili elementi di arricchimento della lingua, capaci di conferire una sorta di “coolness” o status internazionale alla comunicazione.

Dall’altro lato, si schierano coloro che difendono strenuamente l’italiano nella sua forma più pura, desiderando preservare l’identità e l’autenticità della lingua. Questi sostenitori della “lingua italiana pura” temono che l’uso eccessivo di prestiti linguistici possa minare le radici culturali e linguistiche del paese, compromettendo la coesione e la coerenza della lingua stessa.

Tuttavia, la realtà mostra che la questione non è così netta. La lingua è un organismo vivo che si evolve continuamente, influenzata dai cambiamenti sociali, culturali ed economici. Pertanto, l’adozione di parole straniere può essere inevitabile e persino vantaggiosa in certi contesti, come nel linguaggio tecnico e scientifico o nel mondo dell’innovazione e della tecnologia.

Inoltre, il concetto di una “lingua italiana pura” potrebbe essere un ideale romantico più che una possibilità concreta, considerando l’interconnessione globale e la diffusione dell’inglese come lingua franca.

Addentriamoci su questo dibattito e cerchiamo di comprendere meglio quali siano le criticità attuali, soprattutto nell’ambito del linguaggio normativo e giuridico italiano contemporaneo.

Il linguaggio normativo: parole straniere in eccesso e italiano troppo ostico?

Il dilagare degli “anglicismi” nel panorama linguistico italiano è un fenomeno che solleva notevoli perplessità. I vocabolari e le raccolte di neologismi testimoniano questa invasione lessicale, che vede sempre più parole inglesi inserirsi nel tessuto della nostra lingua. Questi prestiti linguistici, importati principalmente dall’inglese, stanno gradualmente prendendo piede nel nostro quotidiano, ma il loro successo solleva dubbi sul mantenimento dell’autenticità e dell’identità della lingua italiana.

Certo, alcuni sostengono che nell’ambito normativo e giuridico l’uso di anglicismi possa essere giustificato, poiché permetterebbe di esprimere concetti complessi in modo chiaro ed inequivocabile. Va detto però che la critica più grande riguarda la mancanza di una vera riflessione sulle implicazioni culturali e identitarie dell’uso smodato di anglicismi. Piuttosto che accettare acriticamente questo fenomeno, sarebbe opportuno valutare attentamente l’impatto che ha sulla coesione sociale e sulla comprensione della lingua da parte dei cittadini. L’eccessiva adozione di anglicismi rischia di erodere le radici della nostra lingua e di impoverire il suo patrimonio lessicale, sostituendo termini italiani adeguati con prestiti stranieri spesso superflui.

Tuttavia, questa osservazione nasconde altre implicazioni e malcela una mancanza di volontà di sviluppare un vocabolario tecnico italiano adeguato. Questo mancato investimento nella creazione di un linguaggio apposito  riflette da un lato una sorta di pigrizia da parte di coloro che preferiscono adottare facilmente parole straniere piuttosto che impegnarsi nella ricerca di equivalenti italiani appropriati e dall’altro una resistenza al cambiamento e alla società contemporanea globalizzata.

La verità però, come spesso accade, sta nel mezzo: si inglobano in maniera smisurata le parole straniere anche perché l’italiano è spesso “maltrattato” e utilizzato in modo poco consono ai suoi scopi. E la responsabilità, soprattutto in ambito giuridico e normativo, è ovviamente nelle mani della politica, che spesso non è in grado di gestire questo in modo adeguato questo compito.

Come si sta comportando la politica in tal senso?

L’utilizzo del linguaggio normativo e giuridico riveste un’importanza cruciale nella società contemporanea, poiché influisce direttamente sulla comprensione delle leggi e dei diritti da parte dei cittadini. In questo contesto, è essenziale considerare le responsabilità della politica nell’adozione e nella promozione di un linguaggio accessibile, chiaro e comprensibile all’interno del sistema legislativo e amministrativo.

La politica ha il compito di garantire che le leggi e le normative siano formulate in modo tale da essere comprese da tutti i cittadini, senza creare ambiguità o confusione. Questo implica non solo l’uso di un linguaggio tecnico appropriato, ma anche la chiarezza espositiva e la riduzione della complessità linguistica, in modo da rendere le disposizioni legali accessibili anche a coloro che non hanno una formazione giuridica specifica.

Ma allo stato attuale il Governo sta andando in questa direzione oppure no?

La proposta di FDI di multare l’uso eccessivo di termini stranieri nella Pa

L’anno scorso era arrivata in parlamento una proposta di legge che aveva fatto discutere, avanzata da Fratelli d’Italia, per multare l’uso eccessivo di termini stranieri nella Pubblica amministrazione, presentata dal deputato Fabio Rampelli.

Sebbene l’intento di promuovere l’italiano come lingua predominante all’interno delle istituzioni possa risultare anche condivisibile, l’applicazione pratica di questa proposta ha sollevato alcune problematiche.

In primo luogo, è importante considerare che l’adozione di multe fino a 100 mila euro per chi eccede nell’utilizzo di parole straniere potrebbe essere difficile da attuare in modo equo e coerente. Determinare cosa costituisca un “uso eccessivo” di termini stranieri potrebbe essere soggettivo e aperto a interpretazioni diverse, rischiando di generare controversie e conflitti di interesse.

L’implementazione di un sistema di monitoraggio e applicazione delle multe potrebbe richiedere risorse considerevoli da parte della Pa, costi che potrebbero non essere giustificati dall’effettivo beneficio derivante dalla riduzione dell’uso di parole in inglese.

Infine multare l’uso di parole in inglese potrebbe essere interpretato come un vincolo alla libertà di espressione dei dipendenti della Pa. Ci potrebbero essere situazioni in cui l’uso di termini stranieri sia giustificato e necessario per una comunicazione chiara e precisa.

Le contraddizioni del Governo Meloni: il liceo del “Made in Italy”

Inoltre, l’iniziativa è stata quasi immediatamente smentita da altre azioni intraprese dallo stesso governo Meloni, una su tutte la creazione del ministero del “Made in Italy“.

Si tratta infatti di un’evidente una contraddizione evidente rispetto alla proposta di multare l’uso di parole in inglese: questo ministero, infatti, è stato istituito con l’obiettivo di promuovere e valorizzare i prodotti italiani sul mercato internazionale, sfruttando proprio il marchio e il prestigio associato al termine “Made in Italy”, che è di per sé un costrutto in lingua inglese.

Questa contraddizione mette in luce l’ambiguità delle politiche linguistiche del governo, che da un lato sembrano voler promuovere l’italiano come lingua predominante all’interno delle istituzioni, e dall’altro favoriscono l’uso di parole straniere quando è vantaggioso per scopi economici o commerciali.

Inoltre, la creazione del ministero del “Made in Italy” suggerisce un riconoscimento implicito del valore e dell’importanza dell’inglese come lingua di comunicazione internazionale nel contesto economico e commerciale. Questo contrasta con l’idea di multare chi fa uso di parole in inglese nella PA, evidenziando una mancanza di coerenza e di una visione linguistica chiara e coerente da parte del governo.

Il curioso caso del ministro Sangiuliano

Il caso del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano offre un esempio paradossale e suscita un nuovo fronte polemico riguardo all’uso delle parole straniere. Sangiuliano, durante un’intervista concessa al quotidiano “Il Messaggero” alla fine del 2022, ha pubblicamente difeso l’italiano criticando l’eccessivo utilizzo di parole straniere, sottolineando l’importanza di preservare e valorizzare la lingua italiana come espressione della cultura nazionale.

Fin qui nulla di strano e tutto abbastanza prevedibile: tuttavia, nello stesso contesto, è emerso che il ministro stesso ha spesso fatto ricorso a termini provenienti da altre lingue, quali snobismo e radical-chic.

Questo atteggiamente, ovviamente, mette in luce la necessità di una maggiore coerenza e consapevolezza nel promuovere politiche linguistiche. Se i rappresentanti delle istituzioni non sono in grado di mantenere coerenza nel loro utilizzo del linguaggio come mai possono farlo i dipendenti pubblici o ancora i cittadini?

Ecco cosa ne pensa l’Accademia della Crusca

In tutto questo scopriamo anche, per concludere, qual è l’opinione espressa in questa polemica da parte dell’Accademia della Crusca, l’istituzione italiana con personalità giuridica pubblica che raccoglie studiosi ed esperti di linguistica e filologia della lingua italiana.

La questione della comprensibilità del linguaggio normativo e giuridico è di fondamentale importanza per il corretto funzionamento di uno Stato di diritto. Nel 2020, un accordo tra l’Accademia della Crusca e il ministero della Funzione Pubblica ha cercato di affrontare questa sfida, mirando a “ripulire” il linguaggio burocratico per renderlo più accessibile ai cittadini comuni. Questo accordo mette in evidenza una consapevolezza crescente riguardo alla necessità di semplificare il linguaggio del diritto e renderlo comprensibile anche al di fuori dei circoli accademici e professionali.

L’accademico Federigo Bambi ha recentemente sollevato questa problematica, sottolineando l’importanza di semplificare la lingua del diritto per renderla accessibile a tutti i cittadini. Questa necessità è particolarmente evidente in un contesto in cui la complessità del linguaggio legale può diventare un ostacolo per la partecipazione democratica e l’accesso alla giustizia per tutti i membri della società.

La costruzione della Costituzione italiana del 1948 rappresenta un esempio illustre di come sia possibile scrivere testi giuridici chiari e accessibili. I padri costituenti hanno lavorato con cura per redigere un testo che potesse essere compreso da una vasta gamma di cittadini, limitando al massimo l’uso di termini tecnici e privilegiando una sintassi chiara e comprensibile. Questo esempio dimostra che è possibile conciliare la necessità di precisione e chiarezza con l’obiettivo di rendere il linguaggio del diritto accessibile a tutti.

Tuttavia, nonostante esistano esempi positivi come il Codice Civile, spesso la qualità della scrittura legislativa è scarsa, rendendo difficile la comprensione delle norme da parte dei cittadini comuni. La lingua del diritto deve essere tecnica per garantire la precisione e la coerenza delle norme, ma questo non significa che debba essere esclusivamente comprensibile ai soli specialisti. Al contrario, è fondamentale che il linguaggio del diritto sia accessibile a tutti i cittadini, soprattutto per garantire una democrazia effettiva e la partecipazione informata dei cittadini alla vita pubblica.

Infine, conclude l’accademico, è importante riconoscere che l’obiettivo non è tanto eliminare il linguaggio tecnico, quanto piuttosto abituare i giuristi a una scrittura chiara e comprensibile fin dalla loro formazione. Questo richiede un impegno a lungo termine nell’insegnamento delle competenze di comunicazione legale, nonché un costante sforzo di semplificazione e chiarezza nella redazione delle norme giuridiche. Solo attraverso queste misure sarà possibile garantire che il linguaggio del diritto sia veramente accessibile a tutti i cittadini e che la giustizia sia realmente accessibile e comprensibile per tutti.

Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it
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